Omicidio Fait, gli avvocati: «C’era evidente stalking condominiale»
A marzo scorso la donna avrebbe denunciato «anni di vessazioni, minacce e aggressioni in ambito condominiale subìte dall’uomo che poi l'ha assassinata». Aveva anche chiesto l'applicazione del codice rosso
ROVERETO. «La situazione era stata denunciata, ma nulla è stato fatto». E' l'accusa lanciata da Flavio Dalbosco e Rosa M. Rizzi, gli avvocati di Mara Fait, uccisa ieri sera a Rovereto dal vicino di casa Shehi Zyba Ilir.
«Nell'esprimere la nostra vicinanza e le nostre condoglianze al figlio ed all'anziana madre - per dovere di giustizia - dobbiamo segnalare che la signora Mara Fait è stata assassinata ieri a Rovereto in un contesto evidentissimo di stalking condominiale», proseguono i legali che sottolineano come sia stato «negato il codice rosso».
Lo scorso 15 marzo la donna aveva denunciato che «ripercorreva gli accadimenti di anni di vessazioni, minacce e aggressioni in ambito condominiale subìte proprio da quel vicino che poi l'ha assassinata». Aveva anche chiesto l'applicazione del codice rosso. Domanda archiviata - secondo gli avvocati - dopo 7 giorni, sostenendo che «è compromessa l'attendibilità complessiva della Fait in quanto la vicenda viene ricondotta in un più ampio teatro di contrasto di vicinato condominiale».
«Nessuna indagine - prosegue la nota degli avvocati -, nessuna audizione dei testi indicati e della denunziante, nessuna applicazione delle misure cautelari di protezione della vittima: eppure la denuncia era corredata da 19 documenti tra cui certificati del Pronto soccorso e da 11 testimoni dei fatti. Eppure il Shehi Ziba Ilir era già stato condannato per fatti similari». Mara Fait ed i suoi familiari «erano terrorizzati dalla situazione, increduli che - pure avendo denunciato i fatti di reato - nessuno li aiutava né li proteggeva. I colloqui con il pubblico ministero sono stati vani e neppure la richiesta reiterata di protezione ha avuto effetto. Fait Mara è stata lasciata sola e terrorizzata con la vecchia madre affidata alla sua assistenza», così i legali.
«Le vittime devono essere protette ed aiutate con l'applicazione della legge, è disumano lasciare che una donna venga ammazzata quando la si poteva proteggere, disponendo degli strumenti per farlo», concludono Dalbosco e Rizzi.