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Prezzi alle stelle in vetta alla Marmolada? «No, più che giustificati. Lì la merce arriva solo in elicottero»

Cai provinciale e Alpenverein intervengono nella polemica innescata da due membri del direttivo dell'Avs di Cortaccia per il conto pagato alla Capanna Punta Penìa. Il gestorre Carlo Budel replica, con un po’ di pepe, su Instagram

L'ACCUSA «Un conto salatissimo»


Antonella Mattioli


BOLZANO. «Quei prezzi sono più che giustificati. Assurdo che qualcuno si lamenti. Siamo in Marmolada, a 3.342 metri di quota; dove tutti i rifornimenti devono essere effettuati con l'elicottero. E le giornate "buone", in cui al rifugio arrivano alpinisti, davvero poche». Carlo Alberto Zanella, presidente provinciale del Cai, e Martin Knapp, referente dell'Alpenverein per i rifugi, entrano così nel dibattito che si è aperto anche sui canali social, dopo che sull'edizione del 6 agosto dell'Alto Adige, abbiamo pubblicato la protesta di due membri del direttivo dell'Avs di Cortaccia per il conto pagato alla Capanna Punta Penìa, il rifugio in cima alla Marmolada, il più alto delle Dolomiti, gestito da Carlo Budel.

Totale per tre tè e due crostate: 24,50 euro. Una discussione interessante, perché impone una riflessione sui prezzi in generale - che negli ultimi mesi hanno subìto un 'impennata ovunque e nelle zone turistiche ancora di più - ma richiede anche di fare dei distinguo; di capire qual è il ruolo, preziosissimo, e l'impegno enorme di un rifugista di alta quota.

Solo in elicottero

«Contrariamente a chi critica - dice Zanella - bene ha fatto il giornale a pubblicare quella protesta, perché è l'occasione per spiegare - semmai non fosse già chiaro - che i costi per un rifugio "vero", ovvero a oltre 3 mila metri di quota, non sono quelli di un qualsiasi bar in città; neppure quelli di un rifugio raggiungibile in macchina o con gli impianti. Alla Capanna Punta Penìa i trasporti di cibo, bevande, immondizie, materiale vario vanno fatti solo ed esclusivamente con l'elicottero. Chi si lamenta ha presente quali sono le spese? Evidentemente no. Quest'anno poi, causa meteo, la stagione è iniziata tardi; le giornate utili per le ascensioni sono state poche. Il rifugio però è sempre aperto; il gestore è lì per garantire un servizio a chi arriva a qualsiasi ora. Per questo chi sale fin lassù - a mio avviso - non dovrebbe limitarsi a prendere un tè e una fetta di torta, ma farebbe bene a concedersi un pasto completo. Proprio per sostenere l'attività di chi garantisce l'apertura del rifugio con qualsiasi tempo: pioggia, vento, tempesta, neve».

Per tutte queste ragioni è sempre più complicato trovare gestori per i rifugi "scomodi", raggiungibili solo con ore di impegnativo cammino. «Nessuno si arricchisce, hanno praticamente tutti o quasi - spiega Martin Knapp - una seconda occupazione, perché non si campa tutto l'anno, lavorando due-tre mesi. Se poi, come nel caso di Capanna Punta Penìa, i trasporti vanno fatti solo ed esclusivamente con l'elicottero; l'acqua va filtrata e sanificata; le acque nere trattate e i residui smaltiti portandoli a valle con l'elicottero, le spese lievitano. A questo si aggiunge la fatica di lavorare a oltre 3 mila metri di quota. Non stupiamoci quindi se un tè e una fetta di torta costano più del bar sotto casa».

Il pesce in quota

«La cosa incredibile - si arrabbia Zanella - è che nessuno si stupisce, se paga fior di quattrini per un piatto a base di pesce in rifugi che sono ormai ristoranti/alberghi a quattro stelle. Anzi, è diventato normale aspettarsi che sia inserito nel menù e se non c'è, chiederlo. Una follia che piace. Visto che in tanti si fanno i selfie con i super-piatti immortalati sullo sfondo delle cime più famose. A Carlo Budel va riconosciuto anche il merito di far conoscere la bellezza vera della montagna, pubblicando sui social le foto mozzafiato di albe e tramonti in Marmolada».

Ma il diretto interessato che ne pensa? Non si scompome troppo e affida a una story su Instagram la sua chiarissima replica: «Erano proprio due sfigati».













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