Pergine piange Olimpio Cari 

La scomparsa dell’artista. Aveva 78 anni, di fiere origini sinti: è deceduto ieri in casa di riposo vittima del Coronavirus Nel 2012 fu protagonista di una grande mostra in sala Maier. La compagna Wolftraud De Concini: «Quanta solidarietà» 


ROBERTO GEROLA


Pergine. Probabilmente vittima del Coronavirus, è deceduto ieri in casa di riposo a Pergine Olimpio Cari, 78 anni a giugno. Scultore, pittore, poeta e musico, faceva parte del popolo dei Sinti che insieme ai Rom originario delle regioni nord ovest dell’India. Arrivarono in Europa tra il 1500 e il 1600. Un popolo perseguitato, incompreso. Ma Olimpio “Mauso” Cari seppe distinguersi, anche perché molto colto. Nella sua compagna Wolftraud Schreiber De Concini trovò sostegno, condivisione, aiuto. Diventò artista negli anni ’80 a seguito di una visita alla tomba di Marc Chagall e dal 1984 risiedeva a Pergine. Ai Paludi prima ad Assizzi poi, un luogo tuttavia che non poté godersi molto per problemi psicofisici non indifferenti a seguito di un’ingiustizia giudiziaria che lo minò nel fisico e nella mente, tanto da farlo ridurre nella sua attività artistica.

È stato personaggio “artista” dell’anno nel novembre del 2012, con un mostra in sala Maier a lui dedicata insieme alla compagna Wolftraud, anche lei artista (scrittrice e fotografa) ed entrambi perginesi adottivi. «È un omaggio e un atto di riconoscenza rivolto a due artisti che con le loro opere onorano Pergine», aveva spiegato l’allora assessore alla cultura Marco Morelli inaugurando la mostra. Interessante l’intervento che svolse Pietro Marsilli, critico e autore del volume “Mi è arrivata un’immagine”, la storia e il catalogo dei due artisti e delle opere esposte allora in sala Maier: «Il titolo della mostra svela parte dell’orizzonte artistico dei protagonisti, accomunati pur nella diversità di forme, linguaggi, contenuti, dal messaggio della libertà interpretativa che trasmettono. Olimpio ha cominciato a dipingere all’età di 40 anni, realizzando opere dai colori sgargianti e da forme che si richiamano alle situazioni gitane, intrise di vissuto e di esperienze della sua vita. Supporto delle sue pitture è il vetro. Espressioni che trovano posto anche nelle sculture, poesie e nelle canzoni che esegue con la chitarra, alla quale ha dato spazio anche presentandola mostra».

Seguirono altre rassegne come la celebre “Paropamiso” (catena montuosa dell’Afghanistan) che si richiamò alle sue origini orientali e al popolo zingaro in particolare: ancora una volta emersero fantasia, serenità, creatività, voglia di vivere e di esprimere il suo pensiero e i suoi sentimenti attraverso i colori vivaci, le sculture con materiali da recupero, le parole delle sue poesie e delle canzoni che poi metteva in musica. Scrisse anche un libro sulla sua gioventù zingara. Un artista poliedrico dunque che trovò a Pergine tanta voglia di operare nel suo laboratorio d’arte. «In questi giorni di “doppio” dolore - ci ha detto Wolftraud De Concini - sono arrivate moltissime attestazioni di solidarietà anche da persone che non conosco».

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