«Sfruz tra i primi a reagire all’uccisione di Moro»
Il sindaco Andrea Biasi ricorda il legame speciale che c’era tra il primo cittadino di allora e lo statista e ripercorre i giorni dello sgomento seguiti al suo rapimento
SFRUZ. Nel maggio di 40 anni fa il barbaro assassinio dell’onorevole Aldo Moro, un tragico evento della prima Repubblica che a Sfruz è stato vissuto con forte sgomento. Il piccolo paese, poco più di 300 anime, è stato tra i primi a reagire alla notizia dedicando una via al politico democristiano trucidato dalle Brigate Rosse. Aldo Moro aveva visitato il paese nell’agosto del 1975, su invito del locale segretario della Dc Francesco Biasi. «Il presidente Moro aveva la grande dote di saper ascoltare gli altri – racconta Biasi, poi sindaco del paese – ricordo il suo stupore quando gli raccontai di una realtà autonoma così piccola. L’iniziale diffidenza è poi diventata ammirazione per la nostra realtà di montagna e interesse per un’autonomia che parte dal basso, fondata su piccole entità municipali. Quando venne a trovarci, spese belle parole di elogio per la nostra capacità di governarci in modo autonomo ed economicamente sostenibile, riconoscendo che proprio questa caratteristica era una delle principali motivazioni storiche della nostra autonomia speciale».
A 40 anni di distanza l’attuale sindaco di Sfruz, Andrea Biasi, ripercorre il clima di apprensione di quei mesi attraverso gli atti del consiglio comunale dell’epoca. Come scrive il primo cittadino, il legame di amicizia che il presidente del principale partito italiano intratteneva con il giovane segretario di partito Francesco Biasi si interruppe bruscamente il 16 marzo 1978, quando le Brigate Rosse sequestrarono il presidente. Durante la prigionia e le trattative, Francesco Biasi spronò il proprio Comune a non tacere di fronte al degenerare degli eventi. E così il 5 aprile 1978 il consiglio approvò una mozione in cui si condannava il rapimento di Moro quale “atto vile e criminoso, uno spaventoso attacco alle istituzioni democratiche del nostro paese”. I consiglieri chiedevano allo Stato di “difendersi e stroncare la violenza, isolando i terroristi rossi come era stato fatto per quelli neri”.
La notizia del ritrovamento del corpo di Moro sconvolse la comunità di Sfruz, che fino all’ultimo aveva sperato in un diverso epilogo. Il giorno dopo l’assassinio il consiglio comunale si riunì in via d’urgenza per approvare una mozione dai toni forti: “L’assassinio di Moro – recita l’atto - un crimine contro la Repubblica, la democrazia e le sue libertà. Di fronte al barbaro atto il Comune di Sfruz dichiara la propria fede nella democrazia, occorre che lo Stato riesca a sconfiggere il terrorismo, punendo i colpevoli e smascherando i complici”. In risposta a chi sollecitava una reazione violenta e fuori dalla legalità da parte delle istituzioni l’invito del Comune di Sfruz fu nel senso opposto: “Si prosegua sulla strada maestra tracciata da Moro, affinché egli non sia caduto invano”. Ad appena un giorno dalla morte dello statista, il consiglio presieduto dall’allora sindaco Giorgio Biasi gli intitolò una delle vie del paese, in deroga alla normativa provinciale che prevedeva un intervallo decennale tra la morte e la dedica.
Andrea Biasi sottolinea l’importanza di quell’atto, che pur essendo meramente simbolico ha un profondo significato politico e istituzionale. Una piazza Moro è stata intitolata negli anni Ottanta a Romeno. (g.e.)