L'ALLARME SOCIALE

Nidi e materne chiusi, onda di protesta dalla Sicilia al Trentino: già raggiunte le 35 mila firme. Ecco le voci dei genitori

La decisione del Governo ha gettato nella disperazione migliaia di famiglie: “I genitori in smart working non sono in ferie. Per i piccoli non esiste alcuna Dad” (foto Ansa)

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di Luca Marognoli


TRENTO. "I genitori in smart working non sono in ferie. I bambini piccoli hanno bisogno di attenzioni e cure”, scrive Alessia. “In zona rossa sono sempre andati al nido perché ci dicevano che erano fuori dalla fascia di età delle infezioni. Ora come per magia ci rientrano?”, si chiede Giulia. "Non prendono mezzi pubblici per andare a scuola, stanno sempre e solo con gli stessi compagni e le stesse maestre”, osserva Tanya facendo rilevare il rischio limitato dell’apertura a fronte del notevole impatto sulle famiglie. Mentre Ester si appella al Governo: “Con i decreti precedenti i nidi e le materne erano rimasti aperti, per favore date di nuovo ai piccoli questa possibilità, grazie”.

La chiusura di asili nido e scuole materne, che il Governo Conte si era premurato di impedire, sta suscitando un’ondata di proteste che dalla Sicilia al Trentino attraversa tutta la penisola. Su change.org la petizione lanciata da Assonidi 4 giorni fa (destinatari Governo e Presidente della Repubblica) supererà già oggi le 35 mila firme poste come obbiettivo. “I bambini hanno bisogno di stare con i loro coetanei in ambienti sicuri e protetti e senza asilo nido e scuola dell’infanzia il lavoro si ferma”, si legge tra le motivazioni, dove si sottolinea anche che “gli educatori e gli operatori dei centri educativi per la prima infanzia garantiscono cura e attività ludico didattiche ai bambini in totale sicurezza”.

Sul suo blog su ilfattoquotidiano.it, la giornalista Elisabetta Ambrosi parla della chiusura come di “un atto feroce e inutile” e sottolinea due punti fondamentali: il primo è che “non esiste alcuna dad per chi va al nido o alla scuola materna”, il secondo che “quando hai un bambino molto piccolo non è in alcun modo possibile lavorare e al tempo stesso accudirlo. Non è possibile ovviamente per un bambino di pochi mesi, ma neanche di due anni”.

Molto concreta l’esperienza di Marco, un sottoscrittore della petizione: “Sono un ingegnere, con Master in Business preso in Finlandia. Sto firmando perché lavorare in smartworking con mio figlio di 2 anni a casa è impossibile. Capiamoci: 1) ho sempre sostenuto, rispettato e fatto campagna a favore di tutte le misure prese nell'ultimo anno. 2) Ma adesso, dall'ultimo report dell'Associazione Itanaliana Epidemiologia (https://www.epidemiologia.it/wp-content/uploads/2021/02/dodicesimo-aggiornamento.pdf) leggo che nei bambini sotto i 3 anni non c'è "un'incidenza statisticamente rilevante" di un'aumento di contagiosità per Covid. 3) Quindi caro Stato, mi chiudi gli asili nido senza che ci sia una base statistica a supporto (non esprimo un giudizio ma cito una fonte ufficiale) e mi rendi impossibile lavorare a casa: 3.a) dai nonni il bimbo non lo posso portare perché non posso uscire di casa (zona rossa) e perché si possono ammalare i nonni. 3.b) se sono dipendente, sto a casa, mi crei un danno mensile e mi fai perdere il 50% dello stipendio netto dopo che con le tasse te ne sei portato via un 40% del lordo. 3.c) se sono un autonomo, dici che mi aiuti dandomi 100 € a settimana, che pagano la babysitter per un giorno. E gli altri quattro giorni come la pago? Vi invito a "VIVERE" nel mondo reale”.

Michela racconta la sua esperienza con toni drammatici: “Sono una dipendente statale in smart working da sola a casa con due gemelle di quasi 3 anni, ditemi voi come si può lavorare... Faccio i salti mortali... Lavoro la mattina prestissimo mentre riposano il pomeriggio, sempre se riposano, e la notte mi preparo il lavoro per il giorno dopo. Alle mie bimbe mancano i compagni e le maestre e non fanno altro che chiedermi quando torneranno a scuola”.

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Flavia parla di nidi e materne come di “un servizio di prima necessità per molti genitori che lavorano e non possono occuparsi dei loro bimbi 24 ore su 24”. E qui viene da chiedersi quanto chi decide ne sia consapevole: quali siano i criteri per giudicare le prorità dei servizi in un’Italia che deve dimostrarsi anche nel welfare all’altezza di quell’Europa da cui ha ricevuto un’enorme apertura di credito con il Recovery Fund. Mentre i papà e le mamme soprattutto sono sottoposti ad una nuova dura prova, a un anno dal primo lockdown (!), Ambrosi nel suo blog affonda: “Forse c’entra il fatto che a deliberare queste misure sono sempre uomini già abbastanza anziani che non hanno idea di cosa sia un bambino di pochi mesi o pochi anni?”. Attendiamo la risposta che verrà data alla petizione dal Governo (se arriverà) per capire se sia vero.













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