La denuncia: «Troppi errori: vigneti distrutti dalla flavescenza dorata della vite»
Un agricoltore accusa il Consorzio vini del Trentino: ha ammesso la necessità di fitofarmaci con due anni di ritardo
TRENTO. «Io ho perso circa un terzo della superficie a vite: un danno stimabile in centomila euro ma soprattutto una perdita di produzione che non mi rende più economicamente sostenibile la lavorazione. E non sono l'unico: la chat che ho attivato e sulla quale ci confrontiamo sulla flavescenza dorata della vite ha circa 200 aziende partecipanti. La situazione è durissima per tutti: il danno in Trentino è di decine di milioni l'anno. E l'andamento è tutt'altro che regolare: ci sono zone colpite solo molto marginalmente, altre dove i danni sono tali da arrivare all'espianto di interi vigneti: per quelle aziende agricole, vuol dire perdere decenni, quando non generazioni, di lavoro. E tutto questo senza calcolare il danno per l'intero sistema vitivinicolo Trentino. Io guardo per esempio le colline est e ovest di Trento, le terre del Trento Doc. I danni sono enormi. Difficile che il prodotto possa non risentirne».
A parlare è Lucio Caldera, agricoltore. E nel suo descrivere gli effetti della flavescenza c'è molta più rabbia che il classico fatalismo del mondo contadino. «A propagare la malattia è un insetto vettore - spiega - lo Scaphoideus Titanus. Arriva dall'America, può essere grande 5 millimetri da adulto. Succhia dalle foglie delle viti la linfa. E nel farlo trasmette la virosi da una vite all'altra. I sintomi compaiono anni dopo, anche due o tre: le foglie cambiano forma, diventando triangolari, e colore. La pianta non guarisce: va tagliata. Ma intanto ha contagiato altre viti per un paio di anni almeno: per questo la strategia dell'espianto scelta in Trentino non poteva che essere fallimentare. Devi accorgerti del fatto che la vite è malata, per poterla eliminare. E quando ti accorgi, è tardi: ormai hai quasi sicuramente contagiate molte altre piante, anche se te ne accorgerai solo con qualche anno di ritardo».
Il punto, ragionando in un'ottica di sistema agricolo trentino, è se si potesse fare qualcosa di diverso e, magari, più efficace. Caldara è convinto che la risposta almeno alla prima domanda sia sì. Di più, si doveva fare diversamente. «Da noi - spiega - il problema si è posto a partire dal 2001 con i primi focolai. L'insetto era stato individuato nel 1986 in Valsugana. Ma Veneto e Piemonte erano già stati devastati nei vent'anni precedenti: sapevamo cosa era la Flavescenza Dorata e anche come si poteva combattere: quali fitofarmaci erano efficaci e quali meno.
Ma soprattutto, che solo riducendo al minimo le popolazioni dell'insetto vettore si poteva contenere la diffusione della fitopatia. Tra l'altro in Trentino la situazione è diversa da Veneto e Piemonte, dove il panorama dei viticoltori è molto frammentato: qua la cooperazione coordina e dirige l'attività del 95% dei viticoltori provinciali. Significa che la campagna contro lo scaphoideus titanus può essere concertata e messa in essere con la massima efficacia. Se arriva l'ordine di trattare con un determinato fitofarmaco, tutto il Trentino lo fa. Solo che si è scelta una strada diversa: quella dell'espianto delle viti malate.
Abbiamo deliberatamente scelto di fare meno trattamenti di quelli messi in campo nel resto d'Italia e di rinunciare a quei principi attivi che si sono rivelati più efficaci. Tutte possibilità, sia chiaro, che i protocolli per la certificazione SQNPI, ai quali aderiamo, riconoscevano e riconoscono. Il problema è stato sottovalutato in partenza, si è scelto di fare diversamente dagli altri forse per la presunzione di essere migliori e poi si è insistito nell'errore per non doverlo riconoscere. Un solo esempio: nel 2019 e nel 2020 la stessa fondazione Mach aveva suggerito di fronte all'evidente aumento della flavescenza dorata di fare ricorso a un farmaco specifico, l'etafenprox. La risposta del Consorzio tutela vini del Trentino è stata negativa. Lo hanno inserito tra i trattamenti solo nel 2021, e ha drasticamente ridotto la presenza del vettore. È un dato di fatto: se lo si fosse adottato due anni prima, come suggerito dai tecnici della Mach, si sarebbe contenuto il danno a misure trascurabili. Invece oggi abbiamo 1.145 aziende colpite e 700 mila viti estirpate. E il peggio deve ancora venire, perché gli effetti del contagio operato quest'anno prima del trattamento finalmente efficace e l'anno scorso, lo vedremo per i prossimi tre anni. Solo nel 2025 avremo una dimensione del danno effettivo che la Flavescenza dorata ha prodotto al vigneto del Trentino. Oggi ci sono aziende che hanno avuto dimezzate le proprie viti: è facile immaginare che molte altre si troveranno nella stessa condizione. E che molte di queste aziende non saranno in grado di reggere: un crollo importante della produzione in annate in cui sono aumentate le spese per carburanti, fertilizzanti e fitofarmaci.
Stiamo andando verso un'ecatombe di aziende. E sembra non importare a nessuno».Perché a oggi, l'unico risarcimento è arrivato dalla Provincia: 4 euro a vite estirpata e sostituita. «E solo per chi ha avuto almeno 100 viti colpite, ma non l'intero vigneto, che andrebbe su fondi diversi. Comunque sono sì e no le spese vive. La nuova vite impiega almeno 3 anni per arrivare in produzione: quello è il danno vero. Io penso che chi ha deciso per noi quali fossero le strategie da adottare e non ha voluto sentire ragione per anni, portandoci per propri errori alla situazione attuale, non possa lavarsene le mani. È il Consorzio a avere deciso: le sue commissioni, composte dai tecnici delle diverse coop. Credo che le cooperative di primo e secondo grado ora non possano lasciare che il costo dei loro errori ricada tutto sui contadini».