Cultura

La comunità marocchina chiede una casa d'accoglienza

E’ un’esigenza che nasce da una serie di nuove problematiche con le quali la comunità si deve confrontare. 


Daniele Peretti


Zambana. Una casa d’accoglienza è uno degli obiettivi emersi dalla
giornata di lavori promossa dall'Unione Marocchini all’estero sul
tema “La tutela dei diritti del fanciullo tra protezione e prevenzione” che si è svolta al teatro di Zambana.

Un’esigenza che nasce da una serie di nuove problematiche con le quali la comunità si deve confrontare. Si parte dall’aumentato numero di separazioni e divorzi, situazioni che di fatto spaccano le famiglie a danno dell’elemento più debole: i bambini. In un contesto non facile ci sono altre criticità come la piena comprensione linguistica, i rapporti con le assistenti sociali e più in generale i problemi di rapporto con scuole e istituzioni.

Esternamente alla comunità c’è il problema dei minori non accompagnati per i quali non c’è un accordo preferenziale per l’affidamento a famiglie marocchine, ma è difficile rapportarsi anche all’interno delle case protette. “Partiamo da questo ultimo punto – ci dice El Afti Chaibia vicepresidente di Umei e perito penale della Procura di Padova– quando i minori non accompagnati vengono dati
in affidamento temporaneo alle famiglie, non c’è nessuna linea
preferenziale per quelle marocchine e qui nasce una criticità
culturale. Per noi è impensabile lasciare un ragazzino di 15 – 16 anni a casa da solo per molte ore come succede nelle famiglie italiane dove entrambi i genitori lavorano. Ancora di più se pensiamo alla convivenza temporanea tra adulto e minore di sesso diverso”.

Qual è la vostra idea di “Casa d’accoglienza”?

“Dovrebbe essere una sorta di punto d’incontro e di ascolto per fare comunità. Ci sono momenti particolari, come lo può essere il Ramadam che alla fine della giornata di digiuno esaltano il senso della famiglia: una casa d’accoglienza servirebbe anche a questo per condividere l’atmosfera del momento con chi una famiglia vera e propria non ce l’ha.”

Avete detto che separazioni e divorzi stanno diventando un problema per la vostra comunità.

“E’ così. In molti si sposano in Comune in Italia. In più il matrimonio contratto in Marocco è riconosciuto in Italia e quindi assoggettato alle vostre leggi: ci sono molte cose da spiegare anche perché non tutte le donne parlano bene la lingua italiana. Da parte nostra c’è comunque un impegno di mediazione familiare col quale si cerca di aiutare a risolvere i problemi.”

Siete impegnati anche nella problematica dei rapporti generazionali?

“Certo e non è un problema da poco se pensiamo alle diverse culture e tradizioni che si sono create tra i gli anziani marocchini ed i ragazzi di seconda o anche terza generazione: anche in questo caso il nostro ruolo è quello della mediazione.”













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