Il sopravvissuto: «Quella notte ho capito cos'è l'inferno»
Tommaso Piccioli racconta le ore drammatiche passate tra la Pigne d’Arolla e il Monte Collon, sopra i 3 mila metri di quota, nella bufera di vento e neve.
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BOLZANO. «Muoviti. Non addormentarti. Non mollare. Ho cercato, come ho potuto, di aiutare la mia amica Betti, ma lei aveva la faccia nella neve. Ho provato a girarla; sentivo che mi chiamava. Ad un certo punto non ragionava più: era nel delirio».
È drammatico il racconto del sopravvissuto della tragedia avvenuta sulle Alpi svizzere Tommaso Piccioli, l’architetto romagnolo che abita per molti mesi all’anno con la moglie a Sidney in Australia e viene in vacanza a Carezza, nella casa di famiglia. Ha visto morire gli amici Elisabetta Paolucci, Marcello Alberti, Gabriella Bernardi con i quali aveva partecipato ai corsi di scialpinismo organizzati dal Cai di Bolzano e assieme ai quali aveva studiato nei minimi dettagli la traversata Chamonix-Zermatt.
Recuperato lunedì mattina (30 aprile) dall’elicottero del soccorso alpino di Sion e ricoverato per alcune ore in ospedale, Piccioli continua a pensare a quanto accaduto in quell'inferno. «Nella bufera, che non ci consentiva di vedere ad un metro di distanza, sentivo Marcello implorare la guida di fare qualcosa; e poi urlava il nome della moglie. Ha chiamato un’infinità di volte Gabri, Gabri, ma lei non rispondeva più. Ho sperato fino all’ultimo che Marcello ce la facesse: era forte e allenato. Al mattino, quando ha cominciato a fare giorno, l’ho visto con la faccia nella neve e ho capito».