Il sopravvissuto: "Non era una gita da fare. Sono vivo perché ho pensato a mia moglie"
Tommaso Piccioli parla dei troppi errori commessi: come partire con il meteo avverso e fermarsi su una sella per la notte. "Sapevo già che sarebbero morti quasi tutti. Se ti addormenti sei finito"
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MILANO. «Era una gita difficile, non da fare in una giornata dove alle 10 sarebbe iniziato il brutto tempo: non era neanche da pensarci». Tommaso Piccioli, l'architetto milanese sopravvissuto all'escursione da Chamonix a Zermatt in cui sono morti almeno sei suoi compagni di escursioni, fra i quali le tre vittime altoatesine, racconta di come è riuscito a sopravvivere. «Ogni tanto - ha detto al TG3 - mi veniva la voglia di lasciarmi andare, ma dopo pensavo a mia moglie». Così ha resistito. Tutta la notte. Il suo è il racconto di un concatenarsi di errori. «Abbiamo sbagliato strada e ci siamo trovati nella bufera» ha spiegato.
«Ci siamo persi quattro o cinque volte - ha detto -. Ho portato avanti il gruppo io perché ero l'unico ad avere un gps funzionante fino a che siamo arrivati a un punto in cui non si poteva più procedere perché con quella visibilità non era possibile».
Una catena di errori, continuata anche quando è venuto il buio. «È arrivata la notte. Ci siamo fermati in una sella e anche quello è stato un errore perché non ci si ferma nelle selle quando c'è il vento. Devi fermarti in un punto riparato e scavare un buco».
«Ho cercato di non addormentarmi e ci sono riuscito, tutto lì - ha minimizzato - perché in quelle situazioni se ti addormenti sei finito: l'ipotermia ti prende e ti uccide. Bisogna muoversi, muoversi, respirare e solo pensare di non morire. Ogni tanto mi veniva la voglia di lasciarmi morire, dopo pensavo a mia moglie».
«Eravamo tutti italiani tranne tre. Non sapevamo che la gita fosse lunga e impegnativa perché non ce l'aveva detto. Io sapevo già che sarebbero morti quasi tutti, comunque - conclude - più della metà».