il problema

Giulia Tomasi, Ama Trento: «Gli adolescenti vogliono far passare solo la loro immagine filtrata. Sui social si rischia l'ambiente patogeno»

Fra i ragazzini è diffuso il fenomeno del foto-ritocco. La psicologa: «Le prese in giro per le orecchie a sventola sono fastidiose a 20 anni, ma in un adolescente possono essere un trauma. Gli adulti devono sorvegliare i comportamenti online dei figli, favorendone l’auto-stima»


Fabio Peterlongo


TRENTO. Arriva dalla Norvegia uno stop al “foto-ritocco” selvaggio da parte degli influencer che diffondono pubblicità in cui l'immagine del loro corpo è modificata tramite software di photo-editing. Dovranno segnalare queste alterazioni attraverso un apposito “bollino”, in modo da ridurre la diffusione presso fasce d’età delicate, come quella degli adolescenti, di un’idea irrealistica di “bellezza”. La decisione del governo di Oslo vuole proteggere i più giovani, la cui auto-stima è minata da canoni estetici artificiali ed irraggiungibili. Molti giovani propongono a loro volta foto e video pesantemente ritoccati e vivono con profonda angoscia l’ansia da “commento”.

Abbiamo parlato di questa “epidemia del foto-ritocco” diffusa tra i più giovani con la dottoressa Giulia Tomasi, psicologa e psicoterapeuta che si occupa di dipendenza da internet e di fenomeni di cyber-bullismo, collaborando con l’associazione Auto-Mutuo Aiuto A.M.A. di Trento: «Gli adulti devono sorvegliare i comportamenti online dei figli, favorendone l’auto-stima e responsabilizzandoli. Il semplice controllo non è la soluzione, va promossa la supervisione accompagnata da un sentimento di fiducia. È anche necessaria la prevenzione: quando il danno all’auto-stima arriva a causare un deperimento organico siamo arrivati troppo tardi; basti pensare all'aumento di disturbi del comportamento alimentare, come anoressia e bulimia, legati ad una sovraesposizione dei giovani a queste immagini irreali di corpi e volti perfetti», ha spiegato Tomasi.

L'associazione A.M.A. propone ai giovani utenti una chat di ascolto gratuita sulla quale si può scrivere in completo anonimato, disponibile al link https://tra-di-noi.com, esprimendo dubbi e sofferenze: «E nei casi in cui la sofferenza per la propria immagine si fa particolarmente intensa, è opportuno rivolgersi al servizio pubblico di Psicologia clinica proposto da Apss, oppure a professionisti privati specializzati nei disturbi relativi all'età dello sviluppo», suggerisce Tomasi.

Dottoressa Tomasi, in che modo i “trucchi digitali” sono differenti da quelli “analogici”? In fondo tutti noi cammuffiamo in una certa misura la nostra immagine per integrarci meglio con gli altri.

«Noi esercitiamo sempre un controllo sulla nostra immagine quando ci presentiamo agli altri. Ci acconciamo i capelli, scegliamo i vestiti, andiamo in palestra. Ma se nel mondo fisico, dobbiamo fare i conti con le nostre caratteristiche in qualche modo “immutabili”, quando ci esponiamo online crediamo, ci illudiamo, di esercitare un controllo totale sulla nostra immagine. Decidiamo quale fotografia ci rappresenta meglio in assoluto e la eleggiamo a nostra immagine ufficiale. Lo stesso non può accadere nel mondo reale, che spesso non asseconda le nostre aspirazioni. Da questo nasce la fortuna delle tecnologie di photo-editing: consentono di modificare i tratti somatici e le caratteristiche intrinseche del corpo. Questo è particolarmente scivoloso quando, in adolescenza, comincia la cosiddetta mentalizzazione del corpo».

Che cosa si intende per mentalizzazione del corpo?

«Significa venire a patti con le proprie caratteristiche, accettandone i pregi e i difetti. È un passaggio essenziale e spesso doloroso nella costruzione dell’identità e diventa cruciale in adolescenza. Se io non ho accettato il mio aspetto fisico, tutto online mi diventa ostile. E non dimentichiamo che un adolescente che non ha imparato ad accettarsi porterà queste insicurezze nell’età adulta».

Facciamo un esempio. Metto online una mia foto e i "leoni da tastiera" iniziano a prendermi in giro dicendo che ho le orecchie a sventola. Da adulto lo sopporto, da ragazzino mi devasta. È questo che vuole dire?

«Esattamente. Le prese in giro per le orecchie a sventola possono essere fastidiose quando si hanno venti o trent’anni, ma in un adolescente possono diventare un autentico trauma che la persona interiorizza. Lo sguardo di ritorno del gruppo dei pari in questa fase evolutiva diventa cruciale e di conseguenza i commenti e i giudizi altrui hanno un notevole peso. Aggiungiamo che su Internet tutto rimane e nulla si può cancellare e comprendiamo come mai quel difetto può diventare una sorta di fissazione. Ciò fa sviluppare sintomi ansiosi o addirittura depressivi nell’adolescente alle prese con il suo corpo e con le relazioni sociali».

Ha incontrato casi simili?

«Numerosissimi. Una bambina di nove o dieci anni che abbiamo incontrato in una scuola ci aveva raccontato di aver postato online un video di lei mentre ballava. Lei per altro era molto brava, faceva parte di una scuola di danza. Tra i tanti complimenti, una risposta diceva: “Sei grassa”. Lei si è focalizzata unicamente su quel commento negativo e mentre ce lo raccontava ancora piangeva».

Queste tecnologie possono però aiutare alcune persone con profondi complessi verso la loro gradevolezza estetica ad esprimersi e a tirare fuori qualcosa di loro, che altrimenti avrebbero celato. È possibile?

«Il veleno non è nella sostanza, ma nella dose, diceva Paracelso. Ci vuole comunque la supervisione di un adulto, perché esiste il rischio che l’esperienza di internet si trasformi da positiva “palestra di relazioni”, in un mondo popolato di estranei pronti al giudizio più crudele. In alcuni casi, quando si espone la propria immagine verso piccoli gruppi selezionati, Internet è capace di accrescere l’autostima della persona».

Ma i social sono popolati da sconosciuti che è impossibile controllare. È questo il problema?

«Ed è proprio per questo che molti adolescenti vivono l’esigenza di far passare solo un’immagine filtrata di loro stessi che considerano accettabile. I social possono diventare un ambiente patogeno che genera un’enorme pressione verso i corpi degli utenti. Il costante e faticoso tentativo di dare un'immagine di sé inattaccabile sui social è l'esperienza che tantissimi giovani e giovanissimi fanno: il mondo virtuale è uno spazio di enorme sperimentazione sociale per ragazze e ragazzi e di conseguenza il modo di auto-presentarsi attraverso i social ha un'enorme importanza per tantissimi di loro».

Veniamo ai campanelli d’allarme che l’adulto può captare. Alcuni esperti indicano i sintomi del deperimento organico, come un sospetto di anoressia o bulimia, come il momento in cui intervenire. È un po’ tardi, non crede?

«È decisamente troppo tardi. Il modo migliore per affrontare questo problema è la prevenzione, che deve essere attivata ben prima che si manifestino i sintomi fisici del deperimento organico. Occorre che i genitori facciano attenzione alle reazioni emotive dei loro figli nel momento in cui ricevono dei feedback online. Se la loro reazione è di grande rabbia e di vergogna, se continuano ad aggiornare il social in attesa di nuove notifiche, se cancellano d’impulso le immagini che non hanno ricevuto un adeguato numero di “like” e se essere visto e giudicato come non vorrebbero è percepito come doloroso e intollerabile, allora suona un campanello d’allarme. Insomma, farsi un selfie deve servire a stare bene, creare ricordi dei bei momenti, fissare esperienze importanti fatte da soli o in compagnia, ma non a stare male».

Nota un cambiamento nell’atteggiamento dei ragazzi mano a mano che crescono?

«Notiamo una progressiva presa di coscienza dei ragazzi quando cominciano ad avvicinarsi all’età adulta. Il “boom” delle condivisioni social avviene tra gli 11 e i 15 anni, quando solitamente i genitori danno il consenso all’uso dei social. Poi, mano a mano che si avvicina la maturità, il numero di condivisioni cala, i ragazzi iniziano a ritenere quelle pratiche come “infantili”».

Gli adulti sono in grado di comprendere fino in fondo quel mondo? Non c’è una barriera insormontabile tra chi non è cresciuto con i social-media e chi, come i giovani d’oggi, li considera a tutti gli effetti una parte imprescindibile della vita sociale?

«Il problema degli adulti è che continuano a percepire il mondo reale e quello virtuale come mondi sostanzialmente separati: come in Matrix, film con il quale molti adulti di oggi sono cresciuti, il mondo reale è radicalmente “altro” rispetto al mondo delle macchine. Per i ragazzi cresciuti immersi nelle tecnologie digitali e nel clima dei social-media, questa distinzione non c’è. Virtuale e reale non sono altro che il prolungamento l’uno dell’altro. Per questo è ingenuo chiedere ai genitori di “sperimentare i social” per qualche giorno per comprendere meglio i figli, non arriveranno mai a comprendere la profondità di connessione tra i due mondi. L'esperienza che un ragazzo può fare sui social-network è completamente diversa da quella che farà un adulto, anche se la piattaforma è la stessa. Un adolescente sui social si presenta per la prima volta, cerca un confronto, validazioni e riscontri dal gruppo dei pari, che in questa fase evolutiva è centrale per lui/lei. Non è la stessa cosa se sul social si presenta un adulto con una struttura già fatta e finita».

Insomma, per i ragazzi l’immagine che trasmettono via social è reale tanto quanto quella che possono vedere allo specchio. Cosa possono fare gli adulti?

«Possiamo e dobbiamo supervisionare. Perché se è vero che non comprenderemo mai del tutto quel mondo, possiamo vederne gli effetti sui comportamenti. E i comportamenti non mentono. Gli adulti devono trovare un difficile equilibrio tra controllo e fiducia. I genitori devono saper imporre delle regole e dare fiducia nella consapevolezza che il controllo non può essere totale, perché qualche "messaggino" sfuggirà sempre. Inoltre bisogna essere consapevoli che il principale gesto educativo è l’esempio che si dà: se una madre è sempre online a chattare con le altre mamme magari lamentandosi violentemente, allora non ha credibilità quando pretende che il figlio stia online in maniera responsabile e rispettosa».













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