Stava, 39 anni fa: «Le grida, il silenzio, il fango. Le immagini impresse nei miei rullini e nel mio cuore»
Dal servizio sul turismo di Faedo alla valle straziata dalla tragedia. La corsa dei soccorritori e i giorni passati a documentare il disastro
L'ANNIVERSARIO La colata di fango uccise 268 persone
STAVA. Era un venerdì anche il 19 luglio del 1985. Come ogni anno, la redazione trentina del quotidiano Alto Adige, quella storica che si trovava in piazza Lodron, aveva messo in calendario una serie di servizi sul turismo, sulle proposte estive, sulle località più visitate. Ed anche sui problemi che l’invasione poteva procurare. In quell’occasione, come accadeva quasi ogni anno, il caporedattore Franco de Battaglia aveva organizzato un’intervista con Audenzio Tiengo, albergatore, amministratore, politico, personaggio conosciuto, ruvido quanto efficace, osservatore attento di quanto succedeva nella “sua” Faedo a nord, verso l’Alto Adige. Con Carlo Martinelli, il collega giornalista, ci avviammo nel corso della mattinata. Intervista, chiacchierata, giro per fare le foto. Al di là del balcone sulla Valle dell’Adige, sui boschi, sulle pinete, il posto attiguo all’albergo era anche “fonte” di discussioni, perché lì, l’Audenzio, aveva realizzato una pista da ballo proprio sotto a pini ed abeti. Un posto incantato, dove al pomeriggio ed alle sere del dì di festa ma anche dei lavorativi estivi, la gente ballava il liscio nella frescura di quel posto magico. Ma non a tutti piaceva, quindi le lamentele di chi cercava pace, silenzio e poco svago, degli altri, ovviamente. Quindi, il servizio giornalistico era su chi non voleva quel “disturbo” e perché invece si poteva fare per garantire il divertimento degli ospiti dell’altipiano.
Seduti a tavola da pochi minuti, ad un certo punto arriva la cameriera che avverte Carlo Martinelli che c’è una telefonata dal giornale. Carlo va e torna di lì a poco: “Dobbiamo andare - mi dice, poi rivolto all’Audenzio spiega - Il de Battaglia mi dice che hanno telefonato i corrispondenti; sembra sia caduto un masso su una casa con dei feriti a Tesero. Dobbiamo andare a vedere”. Scendiamo con la macchina verso il casello di San Michele ed a quel punto sentiamo diverse sirene: ci fermiamo a lato ed al casello si infilano, tra le sbarre alzate, decine di mezzi dei Vigili del fuoco, della Polizia, Carabinieri, ambulanze. Passata quella furia, ci immettiamo anche noi ed usciamo ad Ora dalla A22 per risalire poi fino a Tesero. Anche lì, da Cavalese in poi, un sorpasso continuo di mezzi di soccorso: “Mi sembra troppo per una casa”, il nostro commento.
Arrivati nei pressi di Tesero, i vigili ci fermano e ci fanno scendere; lasciamo la macchina e con il borsone delle macchine fotografiche ci incamminiamo verso il ponte che sovrasta il rio Stava. Impossibile descrivere ciò che abbiamo visto. Frammenti di ricordo, di grida, di silenzio, di ruspe, di ordini, un odore acre, un caldo che sembrava infernale. La prima immagine, quella della pasticceria Barbolini a lato del ponte, che conoscevamo bene e che ora vedemmo a malapena. Ci guardammo in faccia col Carlo ed iniziammo a salire lungo la strada che costeggia il rio Stava sulla sinistra. Una fatica immane, per il fango che copriva ogni cosa. Si inizia a scattare, il Carlo a chiedere, a parlare.
Dobbiamo comunicare con la redazione, in qualche modo ci riusciamo, non ricordo più chi ci concesse l’uso di un telefono. Ma venimmo a sapere che da Trento e dalla sede centrale di Bolzano, stavano arrivando i rinforzi. Nel corso del pomeriggio i rollini di foto fatte erano già diversi, certamente non si potevano spedire così alla redazione di Trento, bisognava aspettare che salisse qualcuno per poi recapitarli in Lungo Talvera San Quirino a Bolzano. Nel tardo pomeriggio arrivarono il Luigi Sardi, capo della giudiziaria, il Carlo Guardini, nerista sopraffino, l’Enrico Bortolamedi, alcuni altri, poi tutti i “bravi” di Bolzano coi loro fotografi.
Io arrivai ai laghetti di Prestavel con il Gigi Sardi che ne conosceva l’ubicazione e la pericolosità, poi consegnati i rotoli a chi tornava a Bolzano, mi incamminai con il Carlo Guardini, detto “bufera" - mentre io ero “el lampedina” per via del flash che era necessario utilizzare quando faceva buio - grande giornalista, amico rustico, alpinista e sciatore provetto che messosi in spalla anche parte della mia attrezzatura, salutati i colleghi di tutte le altre testate, salì con me verso la sommità della valle per poi scendere sul lato sinistro, spalle ai laghetti. Lì ci fermammo, anche per la notte, illuminata dalle fotocellule dei Vigili del fuoco.
Al mattino presto arrivarono anche i colleghi delle testate nazionali, noi tornammo a Trento nel corso della mattinata, si dovevano sviluppare e stampare i rollini. L’amministrazione del giornale aveva affittato un appartamento nel centro del paese e quella divenne per settimane la redazione in trasferta per la tragedia di Stava. In valle tornammo poi per i funerali.
Dallo scorso anno l’Associazione familiari vittime di Stava ha deciso di non svolgere più funzioni pubbliche di ricordo. Quello rimane nel cuore e nella mente di chi c’era, dei parenti delle vittime, di chi a Stava lavorava, camminava, stava pranzando, alle ore 12, 22 minuti e 55 secondi, come testimoniarono i tracciati dei sismografi. E di chi a Stava, inconsapevole dell’accaduto, era salito nel primo pomeriggio di quel venerdì 19 luglio 1985.