LA STORIA

Fabbricato il pesciolino giallo di Anffas numero 15 mila. Maurizio Menestrina: “Sarà l’ultimo. Vado in pensione”

Il noto educatore, vignettista e artista lascia il lavoro dopo 27 anni. Ecco la sua storia, iniziata da un papà disabile. Sue le mostre dei water d’artista e delle scatole di sigarette riciclate per sostenere la Lilt

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di Luca Marognoli


Nei laboratori dell’Anffas è nato il “pesce grazie” numero 15 mila. L’ultimo. Perché il padre di questa straordinaria iniziativa, ideata nel 2007 per far uscire dal centro socio educativo di via Gramsci un messaggio di condivisione attraverso oggetti interamente plasmati dalle mani dei disabili, lunedì 1 marzo andrà in pensione. Lui è Maurizio Menestrina, per tutti “Mene”, educatore di Anffas (da sempre a fianco di ragazze e ragazzi con disabilità psichiche e fisiche gravi e gravissime), disegnatore dalla matita dissacrante e artista istrionico, già autore delle mostre sui water d’autore e sulle scatole di sigarette di riciclo (in collaborazione con Lilt).

Maurizio Menestrina, il "collezionista di vip" va in pensione: eccolo con loro

Il disegnatore e artista ha distribuito un gran numero di ritratti assieme al "pesce grazie" di Anffas, prodotto in 15 mila copie dai ragazzi del Cte Gramsci. LEGGI L'ARTICOLO: Fino all'ultimo pesce

 

Costetto a casa da un infortunio al ginocchio che gli impedisce di lavorare finché non sarà operato (e in tempi di Covid i tempi di attesa per la sala operatoria si sono dilatati all’inversimile), a sessant’anni da compiere ha colto l’occasione per “infilarsi” in una finestra pensionistica inattesa. Ma assicura che, anche se il pesce finirà in archivio, continuerà a operare come volontario in un’associazione che è da 27 anni la sua seconda casa.

 

A svolgere un lavoro come il suo non si arriva per caso, racconta. “Mio padre aveva subito un infortunio sul lavoro che lo aveva reso disabile fisico: io avevo 17 anni ed ero il maggiore di 4 fratelli. Al terzo anno della scuola d’arte Vittoria, che ai tempi era su ai Cappuccini, feci l’esame di maestro d’arte, ma non potei proseguire frequentando gli altri 2 anni: il mio sogno era andare ad Urbino all’Accademia di fumetto. Invece iniziai a lavorare per aiutare la famiglia”.

Aveva solo 17 anni quando fu assunto (era il 1978) nell’azienda Troncon che faceva panettoni e colombe a Ravina, poi diventata sede di Tv Alpi. “Ci rimasi un anno, poi andai all’Abbasciano a fare mozzarelle, nel mitico caseificio, dove invece restai per una decina d’anni”.

In mezzo ci fu la naja: “Un’altra esperienza forte, intanto per essere sopravvissuto al terremoto dell'Irpinia grazie ai muri di 80 centimetri della caserma (ci fu comunque chi si buttò dal secondo piano) e poi per avere partecipato ai soccorsi. Tutto attorno i palazzi erano caduti come castelli di carte: non c’era ancora l’odierna Protezione civile e ci trovammo a scavare nelle macerie la stessa notte: io ero lì da nove giorni senza addestramento e fra l’altro in un’ambiente di militari del sud, dove si capiva anche poco la lingua. Per quattro mesi fummo impegnati a smistare merci che venivano da tutta Europa: ci alzavamo alle 4 del mattino e andavamo negli hangar di Maddaloni a scaricare i tir. Il problema era la distribuzione, perché non eravamo organizzati. Rientravamo la sera alle nove con un solo pasto al giorno, pur essendo quella una scuola per cuochi… Un trauma che porti negli anni, quello del terremoto”.

Ma la vita doveva continuare. “E le matite non mi hanno mai abbandonato”, sorride Menestrina. “La prima mostra la feci nella fureria della caserma. E la mia passione mi aiutò anche a sopravvivere al nonnismo: tutti mi chiedevano caricature e ritratti, soprattutto chi andava in congedo. Dopo i quattro mesi di emergenza chiesi di restare lì, invece che andare a Bressanone dove mi avevano assegnato: ero appassionato di archeologia, Pompei e il golfo di Positano mi appassionavano e restai al caldo ancora per qualche mese”.

Con il foglio di congedo in mano, “Mene” tornò a fare mozzarelle. “Poi capitò l’occasione: avevano aperto il primo studio di grafica, Nord-Studio, ai Solteri, a 5 minuti da casa mia. A quei tempi si faceva tutto a mano, con la taglierina: dalla cartellonistica alla vetrinistica. Non c’era la computer grafica. Realizzai a mano un pannello di 24 per 12, per rivestire Palazzo Geremia durante il restauro, su commissione dell’architetto Lupo: una copertura in policarbonato per far passare la luce. Riproduceva in scala 1 a 1 la facciata: un lavoro enorme”.

“Rimasi lì una decina d’anni – continua il pensionando - poi passai a una piccolissima ditta di restauri”. Non solo lavoro, l’impegno sociale c’era già. “Con un amico ci eravamo inventati il “Tour de mat” per viaggiare per l’Europa in bicicletta: ci tenevamo tre settimane di ferie per l’estate e partivamo, ogni anno (un viaggio che fra l’altro nel 2000 ripetei in Corea del Sud, da dove proviene mia moglie Kim)".

"Era il nostro modo per sensibilizzare sulla disabilità, assieme agli Amici dello sport di Lavis. Guarda a caso, i ragazzi dell’associazione frequentavano l’Anffas, che allora non conoscevo. In un viaggio fino ad Amsterdam e ritorno, conoscemmo Het-Dorp, una cittadina villaggio a misura di disabilità, sviluppata su iniziativa di un medico: tutto era partito da una delle prime case domotiche, che lui aveva costruito in periferia. Poi l’intera cittadina cambiò volto: marciapiedi senza scalini, pedane mobili, piscine con paranchi… Là vidi persone post incidentate che potevano fare una vita dignitosa… "

Al ritorno dall’ultimo viaggio, nel’93, in pieno dell’era Tangentopoli, persi il lavoro perché i cantieri dell’azienda erano stati bloccati: c’erano controlli incrociati che paralizzarono l’edilizia in tutta Italia. Rimasto disoccupato e con il lavoro che non si trovava da nessuna parte, mi misi a studiare perché la Fin cercava istruttori di nuoto. Io, che avevo già quasi 30 anni, ce la feci e riuscii a sbarcare il lunario. Mi salvarono le matite anche allora: disegnavo in nero per fare fare caricature ma anche su commissione di aziende che avevano bisogno del logo o della grafica di una pubblicità. In piscina lavoravo ad ore per le società sportive del territorio. Intanto avevo conosciuto la compagnia teatrale “Quei de Vilazan” di Gianni Corradini, facendo il truccatore: divenni scenografo e poi attore amatoriale, ottenendo un premio al Sipario d’oro come giovane promessa. L’esperienza teatrale mi permise di portare a teatro, in modo umoristico, i viaggi in bicicletta, per raccogliere fondi per gli Amici dello sport”.

Poi la svolta: “Nel 1994 avevo fatto diverse domande di assunzione e indovina chi mi rispose? Anffas. Una realtà a me ancora sconosciuta. Mi ero presentato come insegnante di supporto di nuoto. Poi divenni assistente educatore e infine educatore professionale dopo 27 anni di lavoro. Sono stato in tutti i centri: Cles, via Perini, via Paludi, via Suffragio, via Volta, via Onestinghel, Casa Serena e via Gramsci. Quest’ultima – è brutto dirlo - era considerata un po’ l’ultima spiaggia per il livello di disabilità grave degli ospiti, ma io ne feci invece un punto di avvio per aprirci verso l’esterno. Instaurammo collaborazioni con Comune, Circoscrizione Clarina, Fai (Famiglie anziani sul territorio), Sad, la scuola dell’infanzia, le elementari, il parroco, la biblioteca, circa 20 esercenti di tutto il circondario e l’associazione Prodigio (“Progetto di giornale” per universitari che fanno il servizio civile) dell’amico Pino Melchionna, che per circostanze sfortunate della vita si era trovato in sedia a rotelle”.

All’Anffas Maurizio Menestrina mette a frutto tutta l’esperienza maturata in altre professioni e quanto appreso nei suoi viaggi continentali: “Lavorai con l’arte grafica, la comunicazione non verbale, motoria e il riciclo del materiale. Quest’ultima era una mia grande passione: nei centri per disabili d’Europa avevo imparato a trasformare i materiali “poveri” come legno, cartone, pvc, metalli e biciclette per fare attività didattica e socio-occupazionale. E qui entra in gioco il famoso pesce grazie: una catena di montaggio che permette di far interagire persone che nessuno avrebbe pensato in grado di creare degli oggetti. Ma ognuno faceva la sua piccola parte. Così nacque un oggetto che è arrivato al traguardo di 15 mila esemplari: tutti fatti a mano, uno per uno. Diventati anche quasi oggetti “di culto”: fotografati dai nostri simpatizzanti in cinque continenti, dal più alto vulcano delle Hawaii ai bassi fondali della Florida, dal punto estremo del Sudafrica alla casa di Babbo Natale, in Finlandia...”. Maurizio si è pure inventato il “pescisfero”, un pannello che documenta gli spostamenti della sua creatura.

Perché fotografarli in ogni dove? “Il senso era di dimostrare come il disabile grave, che non può muoversi, può arrivare nei luoghi più lontani. La disabilità statica è diventata dinamica, attraverso la condivisione dei famosi selfie. Così anche l’azienda Anffas è arrivata in luoghi lontanissimi e nelle mani di persone importantissime, i famosi “vip”: da Mattarella a Papa Francesco, alle tuffatrici Dallapè e Cagnotto che si fotografarono con il “pesce grazie” il giorno prima dell’argento di Rio, a Fedez, Morandi, Giovanotti, Paolini, Gassman, Dario Fo, Uto Ughi, Margherita Hack...”.

Mene si trasformò in un “molestatore di vip”, sempre in agguato nei teatri e agli eventi che vedevano la patecipazione di celebrities: “Sono diventato l’antagonista di Staffelli”, ride Maurizio. “Il tapiro prende in giro, il pesce valorizza la persona che lo riceve”. Pesce che andrà in pensione con il sottoscritto. Consegnerò il numero 15 mila al nuovo direttore Paolo Girardi il mio ultimo giorno di lavoro”. Ma non saranno gli ultimi colpi di coda per i legnetti pinnati di Mene, che – come in una bella fiaba a lieto fine - continueranno a nuotare in tutto il globo portando con sé le fatiche e le piccole gioie dei ragazzi che hanno dato loro vita, nel piccolo laboratorio di via Gramsci, a Trento.

 

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Le mostre del “Mene”: “Solo fumo” e “Waterlife”.

 

Due mostre-evento che arrivarono sulle prime pagine dei giornali e in tv. “Erano entrambe sul riciclo e le ho dedicate a mio papà, Mario, che con la sua disabilità mi ha fatto arrivare al mio lavoro”, dice “Mene”.

 

“Il papà era idraulico e grande fumatore purtroppo, tanto che morì per tumore: io andando a lavorare la mattina all’Anffas, raccoglievo i pacchetti di sigaretta per terra e li trasformai in un mezzo comunicativo: trovavo ridicolo che un prodotto altamente cancerogeno fosse venduto dallo Stato e ridicole quelle scritte minuscole che invitavano a non fumare. Così ci feci delle vignette provocatorie, ironizzando sul testo. Nel 2005 a Torre Mirana fu presentata la mostra, promossa dalla Lilt, dal titolo “Solo fumo”, con le prime 150 vignette del Mene. Oggi sono più di 2000. Il messaggio è rivolto non ai fumatori, ma ai giovani. L’idea è che lo scarto gettato a terra può diventare cultura. Un’iniziativa che mi ha permesso di conoscere Umberto Veronesi, di baciarlo, pescizzarlo e matitarlo, come dico io”.

 

“Sempre restando all’idrualica nacque la mostra "Waterlife": una collezione di water dismessi decorati da artisti a 360 gradi, dal rame al peltro, alla foglia oro, al vetro, ai mosaicisti ai pittori. Tra loro anche personaggi noti come Laurina Paperina, Fabio Vettori, papà delle “formiche”, Ivo Fruet e Bruno Degasperi. Ottanta artisti per 100 opere. Un bidet di Maurizio Boscheri, “recensito” da Vittorio Sgarbi, è stato valutato oltre 15 mila euro. Mentre Luigi Angelo Sangalli, ex direttore di Anffas e costruttore di chitarre elettriche per passione, realizzò il Cessobass, un waler trasformato in basso elettrico. La mostra, che al Cte nel 2011 fu visitata da oltre 2 mila persone in dieci giorni, era stata presentata da Greggio e Iachetti a Striscia la notizia”.













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