STORIE BOLZANINE

Don Paolo Zambaldi, il prete “ribelle” che non crede al diavolo e ai miracoli 

Difende i migranti, si batte per le famiglie di fatto e la parità di genere nella Chiesa, e contro l'omofobia. E' cappellano nella parrocchie Tre Santi e Visitazione di Bolzano


Luca Fregona


BOLZANO. In ordine sparso, don Paolo Zambaldi è favorevole a: il sacerdozio femminile, le famiglie di fatto, l’abolizione del celibato. E contro: l’accanimento terapeutico, la chiusura dei porti, l’omofobia, il capitalismo, il decreto Pillon, il decreto sicurezza. Ha scritto una lettera aperta a Papa Ratzinger contestandogli duramente i silenzi sui preti pedofili. Sul suo blog donpaolozambaldi.it ha una sezione dedicata ai diritti Lgbt (lesbiche, gay, trans, per intenderci), un’altra sulle donne nella bibbia («Un intero universo al femminile “fagocitato” dalla narrazione maschilista»). E poi teologia della liberazione, diritti dei migranti e degli indios dell’Amazzonia, economia equa, ambiente. Post e post d’indignazione nel periodo soffocante del salvinismo col rosario del Papeete («Si sentono discorsi che assomigliano a quelli di Hitler nel 1934»).

È un “don” che non crede al diavolo né ai miracoli. Che contesta alla Chiesa (e a Papa Francesco) «la ricomparsa in pompa magna di Satana, sollecitazione di paure medioevali». 34 anni appena, bolzanino, un prete di sinistra, che il vescovo Muser ha voluto come cappellano ai Tre Santi, e - da una settimana - anche “aiuto” alla Visitazione in Viale Europa. «Le etichette non mi piacciono - dice lui -. Applico solo quello che ha detto Gesù Cristo. Primo: rispettare i diritti delle persone».

Quando parla di “famiglia”, sta attento a non dire madre e padre. Perché per lui può anche essere padre-padre, madre-madre, solo padre, solo madre. «Non mi interessa da chi è composta. La persona viene prima di ogni altra cosa. La Chiesa come la intendo io accoglie tutti. Abbiamo, ad esempio, tantissimi omosessuali che frequentano le parrocchie. Che ci siedono accanto durante la messa. Che pregano con noi. Perché dobbiamo trattarli come malati, come peccatori? Dov’è la nostra capacità di immedesimarsi nell’altro?». Stesso discorso per il sacerdozio femminile. «Una donna può predicare bene quanto un uomo. Non c’è nessuna differenza. Uomo, donna, gay, etero, bianco, nero che importanza ha? Basta che tu sia in grado di portare il Vangelo. Sarei contento di avere delle consorelle». E sul celibato: «Un’istituzione di cui non vedo la necessità. Non è che se sei sposato, non puoi essere un bravo prete. Dev’essere una libera scelta». Qualche ultrà cattolico ha già chiesto la sua testa. Le gerarchie per ora non intervengono, anzi. «Mai avuto richiami».

Povertà e castità. Una vocazione tardiva la sua. Tra i 25 e 26 anni, mentre studiava giurisprudenza a Trento. «Intendiamoci: non è che Dio ti chiama al telefono o senti la sua voce. È stata una maturazione iniziata da ragazzo, quando frequentavo le parrocchie e mi interessavo alle sacre scritture. Vengo da una famiglia solidale e accogliente». La mamma Gabriella, il papà Franco che oggi non c’è più, il fratello Francesco. «Mi considero un po’ uno zingaro, un nomade delle parrocchie». Nel senso che dove c’era una testimonianza da ascoltare, un tema da approfondire, lui ci andava. Da bambino frequenta gli scout di Regina Pacis, da ragazzo le scuole e il liceo al Rainerum. Quando scatta il “clic”, lascia Giurisprudenza, si iscrive al Seminario teologico di Bressanone. Cinque anni di studio e uno sul campo. Poi l’ordinazione a diacono, dove già si promette al vescovo di osservare i voti di “povertà e castità”. Impegnativo per un ragazzo di nemmeno 30 anni. «Per me no. Era la vita che volevo». Viene assegnato alle parrocchie Duomo-San Domenico e San Giuseppe ai Piani. Il diacono ha dei compiti liturgici: la predicazione e la lettura del Vangelo, il servizio all'altare in aiuto al sacerdote. Ma poi c’è il servizio alla comunità, al quartiere di riferimento, e il futuro don Paolo non si tira indietro. «Ho sentito che il mio compito più profondo era quello di aiutare chi si trovava più in difficoltà, le persone più sole e più povere, italiani e stranieri». I vecchi, i migranti, le ragazze madri, quelli che non ce la fanno ad arrivare a fine mese, quelli che hanno deragliato, gli abbandonati. Con alcune volontarie apre ai Piani un “Caffè solidale”, una rete di appoggio agli anziani del rione. Persone che vivono sole, barricate in casa. Spesso con i figli lontani. «In difficoltà anche per le cose più semplici». La spesa, le medicine, gli esami del sangue, la visita dal dottore, trovare una badante. Il diacono Paolo Zambaldi è vicino anche quando la vita si spegne in ospedale o in casa di riposo.

Istantanea di Bolzano. Nel 2016 l’ordinazione sacerdotale. Nel 2018, il vescovo lo sposta a Sacra Famiglia e Tre Santi, come vice del parroco don Jimmy Baldo, altro prete controcorrente. Don Paolo oggi vive in una stanza col bagno nella canonica ai Tre Santi. Sul comodino “I fratelli Ashkenazi” di Israel J. Singer. Dal pc esce “The Times They Are A Changin” dei Byrds. A pranzo e cena cucinano a turno. Una volta lui, una volta don Jimmy. Ospitano anche una famiglia finita per strada e un giovane rifugiato afgano. A differenza dei porti di Salvini, le porte dei Tre Santi restano sempre aperte. «Non sopporto quando si dice che facciamo i soldi sui migranti. Con quello che riceviamo, non riusciamo nemmeno a coprire le spese. Se ce la facciamo, è grazie al buon cuore dei parrocchiani e dei volontari. Senza contare che noi aiutiamo tutti, e la gran parte sono italiani...». Scatta un’istantanea di Bolzano, don Paolo: «La città non è più pericolosa di quando io ero un ragazzo, ma sono aumentate le situazioni di povertà. Tante persone si sentono lasciate indietro. È la povertà che genera insicurezza. Scatena paure e la percezione dell’invasione. Ma è in questo mare sofferente che la Chiesa deve immergersi totalmente e accogliere».

Razzismo sul bus. Sulla questione migranti, don Paolo ha le antenne sempre accese. «C’è un tasso d’odio, razzismo e malafede che richiede una risposta immediata. Non puoi girare la testa. Devi schierarti». Lo dice dall’altare ma anche in strada. Come quella volta che su un bus una signora si è messa a insultare due ragazze perché portavano il velo islamico. È intervenuto a muso duro e l’ha raccontato sul suo blog. «Se stai zitto, sei complice - dice -. Gesù di Nazareth era contro i pregiudizi. Io cerco di spiegare che, prima di tutto, il profugo, il migrante, è una persona. Una persona con sogni, speranze, una professione, e un diritto ad avere un futuro diverso. Se trovo un muro di pregiudizio, provo ad abbatterlo».

Parrocchie aperte. Il suo è un lavoro sette giorni su sette, h24. «È importante esserci sempre in parrocchia, non è un posto dove uno viene su appuntamento. Se bussi e nessuno apre, abbiamo fallito». Una dedizione totale. Sveglia alle 6, la preghiera mattutina del Breviario. «Poi leggo i giornali, perché voglio essere informato su tutto». La messa delle 8, gli incontri coi parrocchiani, con gli anziani, i giovani, le scartoffie burocratiche, la catechesi, i laboratori sulla bibbia. Funerali, battesimi. Gli aiuti economici a chi non ce la fa a pagare la spesa o la bolletta della luce. Il tempo per ascoltare chi ha bisogno di parlare. Alle 18, ancora la messa alla Sacra Famiglia. Una giornata che non finisce mai.

Dalla scorsa settimana dà una mano anche a don Andrea Bona alla parrocchia Visitazione. La messa del sabato delle 19 e funerali e funzioni “quando serve” durante la settimana. È la parrocchia fondata da don Giuseppe Rauzi nel 1969 in un quartiere spuntato dal nulla. Don Rauzi, un altro “irregolare”. «Da bambino ho assisto ad alcune sue omelie - ricorda don Paolo - , ero piccolo ma già mi sorprendeva la sua capacità di attualizzare il vangelo. Di calarlo nella realtà complessa della nostra società». Veri preti di strada.













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