“Cinquantenne e vaccinato. Cronaca di una serata da non dimenticare”
La click-night per prenotare l’appuntamento, l’attesa e infine la “cerimonia di immunizzazione”. Con un selfie speciale
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TRENTO. Stasera ho un appuntamento importante. Sta tutto scritto su un foglio A4: “Vaccino Covid – Dose 1. Punto vaccinale territoriale Trento Fiere 1, via Briamasco 2”. Ore 21.20 di venerdì 7 maggio 2021.
Sì, tocca a me. Chi l’avrebbe detto un anno fa, nel pieno del lockdown che ha cambiato l’Italia, sprofondandola per 69 giorni in una paralisi fatta di angoscia e tricolori alle finestre. Dal 27 dicembre scorso ad oggi sono state somministrate oltre 23 milioni di dosi di vaccino (a 16 milioni di italiani la prima) e stasera ce n’è una riservata anche a me.
Non che aspettassi con ansia morbosa questo momento. La cosa più importante era fare massa critica per alleggerire la pressione sugli ospedali e le rianimazioni, trasformate nei lazzaretti del nuovo millennio, e “coprire” al più presto le persone più a rischio: gli anziani per primi, le potenziali ulteriori vittime di quel genocidio generazionale su scala globale al quale abbiamo assistito inermi, tappati in casa davanti alle tv, per proteggerci da un nemico sbucato non si sa come né da dove.
Però oggi è arrivato il mio turno (io che pensavo non prima dell’autunno) e l’appuntamento di stasera non ho nessuna intenzione di perderlo. Per riconquistare un pezzo di libertà perduta e perché più saremo ad andarci, più quel nemico diventerà debole fino a non trovare più veicoli di circolazione: dopo avere costretto all’isolamento noi, sarà lui a rimanere all'angolo (almeno speriamo).
La click night. Oggi in Trentino è il secondo giorno per la classe degli over 50. Sono stato lesto (e fortunato) nella “click night” di mercoledì: mi ero piazzato davanti al computer con quasi un'ora di anticipo, poco dopo le 22, facendo tesoro dell'esperienza acquisita con genitori e suoceri. Volevo essere tra i primi e ci sono riuscito, ma una distrazione ha rischiato di farmi fallire l'obbiettivo: dopo essermi collegato al portale del cup online, mi ero messo a lavorare ad un articolo per il giorno dopo e il tempo era volato via. Alle 22.40 mi ero ricollegato e aggiornando la pagina ero finito sulla temutissima schermata della rotellina che gira: "è in attesa di essere collegato con il servizio.…", con il contatore delle persone davanti a me che in un baleno era schizzato oltre quota mille. Mentre stavo già perdendo la speranza però, il sistema mi aveva riaccolto nella pagina principale, dove la sezione degli over 50 non era ancora apparsa. Meglio… Una pagina che ero ben deciso a non mollare: mi ci ero aggrappato con le unghie, anzi con i polpastrelli che cliccavano furiosamente l’iconcina del “refresh” ogni pochi secondi. Aveva funzionato. D’improvviso era apparsa la finestra che aspettavo, con la scritta "novità” (quasi come una pubblicità da shop online…).. Mi ci ero fiondato sopra ed ero entrato nella pagina delle prenotazioni: inseriti rapidamente codice fiscale e numero di tessera sanitaria (che avevo memorizzato prima con un accesso di prova ad un'altra classe d'età), avevo selezionato Trento scoprendo che il primo appuntanento era vicinissimo: appena due giorni dopo. I primi due tentativi alle 20.40 non erano andati a buon fine: infranti all’ultimo click contro un messaggio di errore. Ma non mi ero perso d'animo e al terzo avevo fatto centro: ore 21.20, Trento Fiere… “Prenotazione avvenuta con successo!”. Pdf già pronto da scaricare. Sollievo. E intima gratificazione.
Per curiosità ero uscito dalla pagina e avevo provato a rientrare: alle 23.05 c'erano 3.390 persone in attesa.
L’ora X. Orario insolito per una vaccinazione, d’accordo: quelli a cui lo annunciavo entusiasta alla vigilia erano tutti piuttosto sorpresi. Ma ciò dimostra come l’Apss voglia massimizzare lo sforzo, per riuscire a immunizzare al più presto il maggior numero di persone. Tra l'altro anche un orario che può risultare comodo per chi lavora, dopo cena e senza l'ansia di dover correre subito dopo da qualche parte, mi ripetevo, sapendo che cercare un’altra fascia avrebbe rischiato di farmi perdere il posto.
Meno di 48 ore dopo la prenotazione, eccomi dunque al Cte di via Briamasco. Per arrivarci si passa davanti a una pizzeria che ha di nuovo i tavolini pieni, quasi che gli ultimi 15 mesi fossero stati un incubo che svanisce al risveglio.
Entrato nel parcheggio delle ex Aziende agrarie, quello dove portano ancora conigli e pulcini per la fiera di San Giuseppe, mi sorprende e spaventa un po’ il numero delle auto parcheggiate alla luce fioca dei lampioni: resteranno sì e no 4 o 5 stalli liberi. Subito balena lo spettro di una nottata passata in coda, magari per quella specie di “overbooking” che aveva costretto all’attesa al freddo un gruppo di anziani, qualche settimana fa.
Ma non perdiamoci d’animo e facciamoci avanti. Sulla “terrazza” del padiglione c’è una fila di persone in attesa di entrare. Vi si accede da una passerella che dà sul piazzale, attorno alla quale stazionano alcune decine di persone sparse qua e là. Mi avvicino a un astante e gli chiedo cosa si deve fare per entrare: “Chiamano loro ogni 5 minuti. No, niente amplificatori: c’è uno che grida l’orario, hanno appena avvisato quelli delle 8.55”. Sono le 9 e 10: siamo in ritardo. Ma per fortuna si va avanti spediti: i prenotati delle 9 e 20 vengono fatti entrare con soli 5 minuti di ritardo. Ottima notizia.
Il vaccino che non ti aspetti. Intanto fra i cinquantenni ansiosi arriva la seconda sorpresa della serata: si diffonde la voce che ci tocchi il vaccino Moderna. Ma come? Tutti si aspettavano Pfizer, anche perché l’appuntamento per la seconda dose è fissato 42 giorni dopo la prima. L’addetto alla “chiama” piazzato in cima alla passerella conferma: “Stasera tutti Moderna”.
Il primo tratto di coda si passa a cercare su Google “Moderna effetti collaterali”. Io non sono affatto dispiaciuto: è lo stesso vaccino che hanno dato a mia nonna di cento anni compiuti (pare che sia particolarmente efficace sul sistema immunitario più debole degli anziani) e persino al presidente Mattarella. Confortante.
In due minuti intanto sono arrivato alla prima postazione, ancora all’aperto sulla balconata, dove viene fatta una prima verifica della documentazione (modulo di consenso e scheda anamnestica) di chi entra. Se si desidera, viene consegnato un foglio che spiega quali sono le caratteristiche del vaccino in questione. La coda prosegue nella direzione opposta, su una fila parallela alla prima, proprio adiacente al capannone dalle grandi vetrate, illuminato a giorno, oltre il quale si vedono le persone procedere ordinate verso altri centri di smistamento.
Eccoci quasi subito alla porta di ingresso: qui un altro addetto invita a preparare la tessera sanitaria e fa attendere che uno dei box dell’accettazione si liberi. Avanti dunque: una gentile incaricata controlla l’appuntamento al computer. Poi si passa oltre: un altro addetto orienta il traffico come un vigile verso uno spazio adiacente, occupato da una serie di altre postazioni con di fronte una fila di tre sedie ciascuna, ben distanziate. Mano a mano che la persona davanti avanza, la si segue.
“Buona vaccinazione”. Due minuti e siamo davanti ad un medico molto cortese, che si informa sulle eventuali medicine assunte, trattiene le autocertificazioni e rilascia in cambio un talloncino di carta con un numero: il mio è il 366.
Il collega Claudio Libera lo aveva scritto che – tranne qualche incidente di percorso - l’organizzazione era impeccabile e il personale sanitario molto efficiente ma che mi augurassero anche “buona vaccinazione, signor Luca” quello no, onestamente non me lo aspettavo. Credevo fosse una “pratica” piuttosto sbrigativa, vista la necessità di tenere i ritmi alti (come “ordina” il generale Figliuolo), ed ero pronto ad entrare in una grande catena di montaggio. Quella che muove i suoi ingranaggi su scala globale per colpire ai fianchi, lentamente ma inesorabilmente speriamo, il mostro che da quasi un anno e mezzo esercita il suo nefasto dominio sul pianeta. Ma se di catena di montaggio si tratta, lo si può dire solo da un punto di vista organizzativo: una “macchina” che deve procedere spedita e senza intoppi, ma anche dal volto umano. Il volto, nel mio caso, degli operatori della Croce rossa italiana, che al Cte prestano servizio tutte le sere dopo le 20.
Momento da ricordare. Ma torniamo a noi. Rinfrancati dall’augurio, veniamo indirizzati verso la zona dei box dove viene praticata l’iniezione. Il momento clou. Meglio togliersi la giacca. Pochi istanti e si viene chiamati nel primo libero. “El de quel bon?”, chiedo per sdrammatizzare. “Ottimo”, risponde il medico invitandomi a togliere la camicia e chiedendomi quale braccio abbia scelto. “Il sinistro”, rispondo. Gli racconto della nonna ultracentenaria vaccinata, così per fare un po’ di conversazione. “E come sta?”, mi chiede. “Benone”, gli dico. Spunta la siringa.
Alla giovane assistente chiedo se sia consentito un selfie per l’occasione. “Altroché”, risponde. “Se vuole una foto gliela faccio io”. Smile delle grandi occasioni (sotto la mascherina) e ben cinque scatti. In uno anche il dottore si mette simpaticamente in posa. Come un sacerdote che dà il battesimo a tuo figlio o un professore che ti consegna il diploma di laurea. Sia nel vaccinato che nel vaccinatore c’è la consapevolezza di partecipare ad una grande cerimonia laica di immunizzazione, fatta nel nome del bene proprio e pubblico, dopo uno dei momenti più bui della nostra storia: un momento che rimarrà impresso nella memoria collettiva come, certamente, nella mia personale. Fatto dunque. Sono le 21.43. La puntura? Neanche sentita. Posso rivestirmi, saluto riconoscente e vado.
La procedura (che forse da queste righe apparirà complessa ma è in realtà piuttosto semplice) è quasi conclusa. L’ultima tappa è il “salotto”: una sala piena di sedie (distanziate, ovviamente) dove rimanere un quarto d’ora per una sorta di decompressione: qui si può essere assistiti nella remota eventualità di reazioni allergiche o malori. Due amiche si incontrano e si siedono una accanto all’altra per fare conversazione. Molti smanettano con il cellulare. Io spedisco a casa fiero la mia istantanea della vaccinazione.
Mi alzo dalla sedia quando scoccano le 22, poco più di mezz’ora dopo il mio appuntamento. All’uscita si passa davanti a un ultimo tavolo dove viene richiesto nuovamente nome e cognome.
Posso tornarmene a casa, sollevato e vaccinato (“adulto mai”, scrivo ai colleghi che mi chiedono come sia andata). Ma non è finita: manca la seconda dose, decisiva per l’immunizzazione (che secondo Moderna è efficace al 94,5%). Ci si rivede fra un mese e mezzo, stesso posto, stessa ora. Per un altro appuntamento altrettanto importante.
Post scriptum: i temuti effetti collaterali nel mio caso sono stati blandi, un po’ di dolore alla spalla il giorno dopo e una sensazione di stanchezza che è sparita in poche ore.