l’opinione

Bypass, dire “no” a prescindere o sognare una città più bella?

«Trento deve scegliere il suo domani. Oggi la grande espansione, il distacco fra le funzioni abitativa e lavorativa, la crescita dei servizi determinano un rimpasto del territorio e la necessita di ridefinirlo», scrivono i due architetti


Pier Dal Rì e Roberto Botolotti


TRENTO. I geometri dell’età del goniometro e del teodolite. E una professione che, sia nel pubblico che nel privato, ci ha sempre appassionato. Iscriversi ad architettura all’inizio degli anni settanta e frequentare delle università irrequiete, significava essere predisposti alla sensibilità verso tutto quanto era, in quel momento, in ebollizione, in cambiamento ; un radicale cambio di visione e di contributi militanti per riedificare un mondo e riformularne le regole con basi sociali, politiche e culturali per quel tempo rivoluzionarie. Anche le nostre tesi di laurea in quel tempo, erano simili, toccavano il tema della casa per tutti, della casa come diritto, dell’edilizia popolare, della necessità di lavorare per la gente, di un’urbanistica dal basso. E veder crescere in quegli anni Madonna Bianca ci faceva capire che era possibile dare una bella casa a tutti.

Un concetto nuovo, non più i casoni, ma le torri di Madonna Bianca che lasciano molto verde e addirittura i vigneti ; case che si vedono da lontano come le torri di avvistamento dei “saltari” i guardiani del territorio agricolo. Non fu un boccone facile da digerire come tutte le novità, ma per fortuna la politica di allora ci credette e creò forse il quartiere moderno meglio disegnato del capoluogo. Lo abbiamo sentito e lo vediamo ancor oggi; il giudizio si divide fra chi apprezza con lusinghieri pareri la brillante idea di compattare le abitazioni in verticale con pennellate di segni sul territori e chi avrebbe preferito riempire la fascia collinare con casette rivestite in perline, poggioli e gerani.

Tutto questo per ribadire che anche a noi che abitiamo in zona, la presenza delle torri ai piedi di un “dosso parco” ci fa dire che la scelta fu lungimirante e saggia, case in cui l’abitare significa integrazione e servizi ed è un bel vivere. Adesso le impalcature e le gru ci indicano che sono iniziati lavori di restyling e di miglioria energetica ma non architettonica perché sono torri coerenti, perché, anche se datate, sono già belle di suo e divenute ormai un segno distintivo della città, del suo saluto per che arriva e di commiato per chi esce. “Ecco le torri ci siamo!”

Questa premessa per dire che anche in questi periodi Trento affronta un nuovo ,ma vecchio, tema ,di ciò che vorrà essere il suo domani. Il sogno dell’architetto Busquets che prevedeva, con visione molto futurista, quasi deperiana, un boulevard e un parco longitudinale che consentiva a una città solcata nel mezzo da fiume e ferrovia di divenire un piacevole ed armonico agglomerato tutto di un pezzo, ovviamente con passeggiate, biciclette, bambini festanti, macchine sparite e treni sottoterra. Tutti sapevano che l’idea era un sogno, una visione di speranze fantasiose e di provocazioni per illusionisti. Ora però la grande espansione, il riassetto del territorio il distacco fra le funzioni abitativa e lavorative, la crescita delle funzioni di servizio hanno determinato un rimpasto del territorio e la necessita di ridefinirlo.

Trento ha degli obblighi, deve lasciar scorrere le acque dei suoi fiumi verso il mare e i treni del nord Europa verso il suo sud e viceversa con persone e merci che ne rivendicano libertà di circolazione. Ora il progetto di un passante ferroviario è realtà, ha i finanziamenti, ha quasi concluso la progettazione esecutiva, si sono fatti i dovuti sondaggi, si sono avviate le prime iniziative di cantiere e si sono sollecitate e ascoltate le prime immancabili contestazioni. Molti temi che parevano insormontabili ora non lo sono più, per tutti gli edifici interessati e per chi li possedeva e abitava si sono trovate intese ben remunerate, in molti hanno preso atto, ascoltato suggerito, espresso preoccupazioni, con civiltà, rigore e spirito collaborativo.

In molti si sono dichiarati irritati per i toni di saccenza presuntuosa di chi, da una parte e dall’altra, non intende ed ama confrontarsi su un tema e su una soluzione. Anche noi siamo destinati ad avere il tunnel del treno sotto le nostre cantine di casa ma non siamo per nulla preoccupati, lo siamo caso mai per altro. Spiace notare come energie civili e sociali sono concentrate solo sul “no” a prescindere dall’immaginare la Trento del futuro. Forse non valutano le possibilità e il fascino di una rivoluzione urbanistica ed estetica che modifica radicalmente la parte Nord della città, forse rimangono vittime della storia industriale di Trento Nord, del suo “ineluttabile” inquinamento, del suo degrado che sembra irrecuperabile.

Vittime dell’incapacità di concepire una città bella, vivibile, che osa anche in architettura. Urbanisti come Vittorini, chiamati a revisionare il piano hanno evidenziato la necessità di riqualificare via Brennero come elegante e qualificata porta di accesso. Busquets ha dato il meglio di sé per immaginare una città vivibile e connessa Crediamo però che si debba osare, dare inizio alla realizzazione dei sogni. Diciamolo, le case e gli immobili che verranno abbattuti non ricordano certo la città del Concilio, della sua nobile espansione. Tolto il quartiere di San Martino riaggregato ormai al centro storico, molti edifici ricordano più il delitto di Oriana Zanchetta, nel ‘67 che le cronache del tempo ci ricordano. Allora lanciamo un appello, pensando al passato, al futuro, alle idee e ai sogni di cui Trento ha bisogno.

Non sarebbe male se tutte le vitali energie, le mobilitazioni, le voglie di partecipare alla costruzione della città, alla creazione della sua nuova porta Nord in area scalo Filzi, si concentrassero sul pretendere costruzioni belle, di qualità, di eccellenza architettonica e di simbolismo identitario. Esempi di riqualificazione urbana non mancano in tutta Europa, esempi di vera partecipazione alle scelte urbanistiche neanche per far sì che il motto “no qualcosa” diventi un invito a fare, a fare bene, a fare giusto, a fare bello. Consentire che per viver bene si possa osare, anche perché ai sogni non bisogna dar limite, Madonna Bianca lo insegna. Busquets tornerà in auge e chi aspetta il Tar, il Consiglio di Stato, chi agita lo spauracchio della speculazione sui suoli inquinati prima o poi dovrà alzare bandiera bianca, andare in pellegrinaggio da qualche Madonna e rendersi conto che con questi metodi e argomenti non si ha diritto di condizionare il futuro e i sogni di una grande città che, in un modo o nell’altro, sta cogliendo l’attimo.

(gli autori sono architetti)













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