pubblica amministrazione

Appalti, sfalcio alla burocrazia

Approvato dal Governo nel nome della semplificazione: «Per le gare, un anno in meno». Sindacati contrari 


Luca Marsilli


TRENTO. La parola d’ordine è «semplificazione». È difficile, finché si ragiona in astratto, non essere d’accordo. Di regola si è d’accordo però finché dalla semplificazione si viene favoriti e si smette di esserlo non appena si ritiene di avere patito un torto. Applicata alla spinosissima materia degli appalti, diventa una rivoluzione. Di cui c’è un bisogno estremo, visto che ormai ci vuole più tempo ad affidare un’opera pubblica che a realizzarla e che non si riesce più a far firmare un incarico a un dirigente perché ha paura di rispondere di irregolarità che nemmeno immagina.

Ma nel Paese della mafia e di Tangentopoli, culla mondiale del diritto ma anche patria di mille Azzeccagarbugli, significa spalancare un portone su una scala che può portare tanto all’inferno che in paradiso. Il consiglio dei ministri ha approvato il «nuovo codice degli appalti». Sono 229 articoli, ancora da studiare nel dettaglio da chi ha le competenze per farlo, ma che sembrano inequivocabilmente improntati al principio cardine di raggiungere il risultato: poter affidare la realizzazione delle opere in tempi rapidi e puntando al miglior rapporto possibile tra qualità e prezzo. Il Ministero delle infrastrutture calcola che si impiegheranno per una gara da sei mesi a un anno meno di quanto ci vuole ora.

Risultato che sarebbe quasi miracoloso se si pensa a quante risorse nemmeno si riescono a spendere proprio per la difficoltà di affidare gli incarichi. Il punto è quale sia il prezzo del tagliare un sistema di controlli, controllori e controllori dei controllori diventato spaventoso ma che ugualmente non è bastato a mettere al riparo da corruzione, infiltrazioni mafiose, concorrenza sleale.
Si introduce anche un criterio battezzato dagli stessi proponenti come “Prima l’Italia” (l’assonanza con vecchi slogan leghisti, tipo Prima il Trentino, non è probabilmente casuale): ci saranno dei premi per le offerte che prevedono materiali nazionali o europei, ma anche corsie preferenziali per le imprese del territorio dove si realizza l’opera. Si fissa una soglia, 5,3 milioni di euro, sotto la quale le stazioni appaltanti potranno procedere con procedure negoziate o affidamenti diretti invece che con le consuete gare di appalto.

Con una soglia di 500mila euro lo stesso potranno fare i piccoli comuni, che potranno procedere con questi limiti direttamente, senza passare dalle stazioni appaltanti. Tutte previsioni che chi contesta il disegno governativo (Cgil e Uil scenderanno in piazza sabato per farlo) legge come via libera a qualsiasi abuso. Non semplificazione ma assenza di vincoli. Sempre nel Paese di cui sopra.
Nessuno contesta invece la digitalizzazione: una banca dati nazionale con registrata la documentazione delle imprese, che non dovranno così sfiancarsi nel produrre ogni volta la stessa gran mole di certificati e autorizzazioni. Infine c’è l’intervento a favore di funzionari e dirigenti: obiettivo scongiurare la cosiddetta “paura della firma” che sta congelando la pubblica amministrazione.

Non ci sarà più colpa grave (con conseguente loro responsabilità diretta) quando potranno dimostrare di avere agito sulla base di giurisprudenza o pareri delle autorità. Tutele simili anche per l’illecito professionale, che a seconda dei casi potrà essere fatto valere solo dopo una condanna definitiva, o in primo grado o di misure cautelari applicate. Tutto per togliere freni e puntare al risultato: fare. In fretta e bene: checché ne dica il proverbio, dovranno imparare a andare insieme.













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