INIZIATIVE

Galleria Adige-Garda, i segreti in un nuovo libro 

Torna, in edicola con il Trentino, «I ghe ciameva lingere de galeria» Tante testimonianze e la soluzione del mistero dei sommergibili tascabili



ALTO GARDA. Lingera. Te se ‘na lingera! Quando ti definivano così non era propriamente un complimento. Ma non era neppure un’offesa. Lingera è una parola assai diffusa nel gergo popolare dell’Italia settentrionale e il suo significato può oscillare da lazzarone poco di buono a sprezzante del pericolo.

La nuova edizione del libro sulla storia della galleria Adige Garda ha ancora come titolo “I ghe ciameva lingere de galeria” proprio perché piaceva questo significato ambivalente, che però presuppone nel bene e nel male una buona dose di coraggio. Perché per andare all’avanzamento in galleria di coraggio ce ne voleva. E tanto. Questa ricerca è stata un vero e proprio scavo nella memoria accompagnati per mano da una cinquantina di testimoni. Sono state le guide dentro la galleria e hanno fatto conoscere le paure e le ansie, i carri ponte e le perforatrici, i dumper e le pale meccaniche. Il racconto è stato raccolto in modo collettivo ed è stato ricomposto come un puzzle e suddiviso in argomenti. Il risultato è un affresco sociale ed economico degli anni ’50 del 900 che ha visto la rinascita dal dopo guerra senza badare troppo ai particolari. Del resto non ce se lo poteva permettere. Le nostre montagne sono state bucate come non mai portando all’estremo l’opera dei geni militari della Prima guerra mondiale.

Lì c’era un’esigenza militare e le perforatrici erano quasi agli albori. Negli anni precedenti alla Seconda guerra mondiale, ma soprattutto dopo, la tecnologia aumentò in modo spaventoso: è degli anni ’50 la lenta introduzione delle perforatrici ad iniezione ad acqua che abbatterono sensibilmente le polveri. E quindi i fori poterono essere più ampi e più lunghi: raggiungeranno alla fine degli anni ’50 il centinaio di chilometri e porteranno alla scomparsa di un lago, quello di Loppio (1959), alla seria possibilità della sparizione di un altro, quello di Serodoli (1954) sopra Campiglio, alla nascita di altri laghi come quello di Ponte Pià e alla trasformazione di alcuni di loro in bacini artificiali. Il Trentino dell’immediato secondo dopoguerra aveva ampie zone di sottosviluppo e soffriva di una grave disoccupazione (circa 15.000 su quasi 400.000 abitanti) ed emigrazione. L’unico settore che poteva scuotere la situazione era la produzione idroelettrica, ma era una priorità nazionale che veniva decisa e finanziata a Roma, perché le risorse regionali erano ben il 10% di quelle nazionali. Il Trentino contribuì allo sviluppo industriale della Lombardia e della pianura Padana, ma a scapito delle proprie ricchezze idrogeologiche e con uno scarso “ritorno” industriale e di occupazione stabile. Aldo Gorfer la definì la “colonizzazione elettrica” riferendosi al caso Giudicarie e soprattutto al fiume Sarca.

La seconda edizione, che esce a cinque anni dalla prima amplia alcune parti e ne aggiunge altre, tanto che si può parlare di un nuovo libro. Ne risultano così arricchite le parti relative ai costi della galleria, al lavoro nei cassoni, ai mezzi meccanici utilizzati, alle condizioni di lavoro e agli incidenti mortali (furono 15), alla custodia successiva alla chiusura dei lavori, alla manutenzione degli anni ’70 e quella recente del 2015-2016. Ma soprattutto è stato aggiunto un capitolo fondamentale sul mezzo d’assalto Campini De Bernardi, curato da Marco Faraoni e che si avvale anche di una inedita testimonianza di un protagonista, Oscar Pomino, che getta definitiva luce su una delle leggende del lago di Garda e della galleria Adige Garda: la costruzione dei sommergibili tascabili nel 1943-45.













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