Una guerra mostruosa e senza senso
E' come se la terra tremasse. Sembra di sentire le sirene. I boati. I crolli. Gli ultimi respiri dei bambini che sono morti insieme a tanti, troppi civili. Il pianto disperato che passa dagli occhi delle loro madri a quelli di tutti noi, annientati da ciò che accade in Ucraina, nel cuore di un’Europa che, soprattutto dopo la fine del conflitto nell’ex Jugoslavia, abbiamo a lungo immaginato impermeabile a guerre come quella che stiamo vivendo. Siamo di fronte al terribile Novecento che ritorna, per dirla con una indovinata frase del filosofo francese Bernard Henri Lévy. Pochi giorni di guerra ci sembrano già infiniti. Perché Putin, questa volta, ha acceso la miccia del mondo intero. Come se l’Ucraina fosse una metafora, una porta spalancata su un universo nuovo e diverso. E quello del presidente russo un macabro braccio di ferro con un pianeta già prostrato, che ora è ipnotizzato dall’angoscia. Con un occhio al destino dell’Ucraina e con l’altro occhio al proprio, di destino. Da una parte c’è infatti la protervia di un presidente che si sente uno zar e che, forte di un esercito smisurato, vuole ricostruire l’Unione sovietica e chiudere ogni rubinetto per mettere ognuno di noi in difficoltà: l’energia - va detto soprattutto a chi non si è posto il problema per tempo, immaginando vie e soluzioni alternative - oggi è infatti un’arma economica devastante. Dall’altra c’è invece la prudenza dell’America e dell’Occidente. Prudenza a dir poco necessaria per evitare una deriva dai confini imprevedibili (soprattutto dopo le minacce non esattamente velate di Putin), ma che rischia di trasformarsi in tentennamento, in indecisione, finendo col rafforzare proprio il presidente russo. Ma non c’è oggettivamente una via diversa da quella diplomatica per cercare di salvare la situazione. Il muro contro muro sarebbe devastante. Le sanzioni di natura economico-finanziaria non sembrano peraltro preoccupare una Russia che ha già programmato con cura questo attacco e che già ha messo in conto questo ed altro. Siamo di fronte a una guerra che si può giocare solo a scacchi. Con eserciti in un certo senso diversi da quelli ai quali siamo abituati. Operando concretamente in favore della pace, della democrazia, ma non mettendo mai l’economia e il denaro davanti alle vite umane. L’Ucraina sta pagando un prezzo sconvolgente, altissimo, mentre noi - non tutti, ovviamente - tendiamo a preoccuparci soprattutto delle bollette e del nostro futuro. È umano, sia chiaro. Ma questa volta va alzato lo sguardo. Riempiendo le piazze che in queste ore stanno dicendo no alla guerra anche di una nuova solidarietà, di una nuova vicinanza. Dobbiamo infatti prepararci ad accogliere migliaia di profughi, migliaia di disperati, migliaia di fuggitivi. E dobbiamo farlo rafforzando l’Europa della convivenza e del dialogo, l’Europa che i muri li abbatte e che la violenza - anche se difendersi è diverso da attaccare - la rifiuta. Ammesso che quest’Europa ci sia ancora.