Le sfide del funambolo Arno fra due fuochi
Forse questa non è la partita della vita, per Arno Kompatscher. Ma è certamente la sfida più difficile. Come un funambolo, il presidente della Provincia sta camminando infatti su un filo sottilissimo. Molti tifano per lui. Per l’autonomia matura. Per l’atto di coraggio di chi - sentendosi il primo della classe - ha deciso di ripartire prima degli altri. E, ancora, per la sfida ad un governo italiano che ha messo - più che comprensibilmente - la salute nazionale davanti alle libertà individuali e anche a quelle dei singoli territori. Altri aspettano invece solo che il Landeshauptmann cada. Un grande classico: vai avanti tu; se vinci, siamo tutti con te; se perdi noi siamo quelli che ti avevano detto fin dall’inizio che era una sfida impossibile, che su certe materie occorre muoversi con i piedi di piombo e che non è la stagione giusta per gettare il cuore dell’autonomia oltre l’ostacolo dei decreti di palazzo Chigi.
Al di là della gioia di chi torna alla vita - un’euforia che purtroppo sta già rischiando di sfociare nell’irresponsabilità - c’è la preoccupazione per uno strappo diverso da tutti gli altri. Perché qui non si discute in punta di legge, nella cristalleria dello statuto, fra le mitiche prerogative dell’autonomia. Il punto di partenza sono ovviamente le nostre competenze e i dati confortanti che arrivano dal fronte sanitario, ma questa volta, in un certo senso, si spezza l’Italia: tutti, come sta ad esempio gridando da giorni il presidente del Veneto Zaia, vorrebbero infatti ripartire, ma solo l’Alto Adige lo fa davvero. In base a un’autonomia che glielo permette, a una serietà che è auspicabile ma meno assodata d’un tempo, e all’idea che la fase due (o tre, a questo punto?) sia profondamente diversa dalla fase uno, che Kompatscher continua a ricordare d’aver rispettato fino all’ultima virgola.
Il funambolo sta facendo ciò che tutti noi auspicavamo che facesse. Per l’economia, ma prima di tutto per la vita di ciascuno di noi (vita che all’economia è quasi sempre legata per ovvie ragioni). Ci sono però due grandi “ma”. Il primo: ma l’Italia di oggi, che già ci considera privilegiati e che già ci invidia, capirà questa fuga in avanti o smetterà di amarci? Il secondo: ma saremo all’altezza di questa sfida? Perché anche noi abbiamo i nostri Navigli, i nostri giovani incoscienti, troppe persone che faticano a capire che questa è comunque la stagione della libertà limitata: abbassare la mascherina significa mettere a rischio la propria vita, quella di chi ci sta vicino (nessuno ha un parente più o meno anziano che deve tutelare?) e, questa volta, quella di un’intera comunità che ha accelerato e che non può permettersi di sbagliare.