Le piazze piene di sogni e di sognatori
Ha molti meriti, il popolo delle Sardine. Il primo è quello più evidente: la sfida all’odio, alla politica dei “vaffa”. Chi ama le semplificazioni, considera le Sardine alternative a Salvini. Ma in realtà si contrappongono a tutta la politica urlata, di cui il leader leghista (che i sondaggi danno ancora al 31,5 per cento) è in fondo solo il simbolo più evidente, il problema o la soluzione, a seconda dei punti di vista. Ma Salvini non è certo il solo che ha trasformato in azione politica l’urlo, l’offesa, la ridicolizzazione dell’avversario e la rapida individuazione del presunto problema del momento (che non va mai confusa con la ricerca di una reale soluzione).
Il secondo merito delle Sardine, anche in una Bolzano di solito allergica a determinati raduni, per di più in (gelidi) tempi natalizi, è quello di aver portato (o riportato) in piazza chi non credeva più in nulla. Un popolo che non ha bisogno di contarsi. Un popolo che ha ben chiara in testa una cosa: che alle complessità non si può rispondere se non in modo complesso.
Il terzo merito delle Sardine - forse il più fragile, per diverse ragioni - è la trasversalità: tutti vogliono tirarle di qua o di là, ma loro non hanno bisogno di “appartenere”. Hanno bisogno di essere, di esserci, di dimostrare che non sono affatto sdraiate, per citare una frase cara a Michele Serra, parola tornata nella lunga lettera che i leader del movimento hanno mandato a Repubblica. Una parola non può infatti certo racchiudere un’intera generazione che ha bisogno di tutto fuorché di parole autoadesive, di slogan o di sguardi e cataloghi mentali e semantici che appartengono ad altre epoche. Tutti le giudicano e cercano di classificarle, le Sardine. Come se mettendole nella rete di qualcosa o di qualcuno se ne potessero prevedere le mosse, le destinazioni, i progetti che invece si devono ancora scrivere e che forse non si scriveranno mai. Gli osservatori più attenti, i conoscitori di movimenti frequentati e studiati in stagioni diverse del Paese - come il filosofo Massimo Cacciari - riconoscono loro il grande merito d’aver cambiato il clima politico. Ma li invitano contestualmente a decidere cosa fare per non scomparire: «Non potranno continuare a riempire piazze all’infinito. Dovranno entrare nell’agone politico». Ma servono anche sogni. Serve utopia. In fondo, anche il movimento di Greta sta cambiando il mondo senza che Greta si candidi a qualcosa. Lasciamoli fare. Forse ci stanno già cambiando. Costringendoci, se non altro, a pensare di più.