Le Olimpiadi azzurre e la maratona di Draghi



La penisola del tesoro corre più forte di tutti. La locomotiva chiamata Italia lotta, suda, soffre e, soprattutto, vince. Come non ha fatto mai. L’immaginazione e i sogni lasciano spazio a una realtà inattesa. E il Paese che insulta chi perde e che idolatra chi vince, ritrova di nuovo il sapore delle vittorie sul palato reso amaro dalla pandemia. Per le Olimpiadi l’Italia non scende però in piazza avvolta in un tricolore. Manco si potesse festeggiare (anche troppo, in verità) solo per il calcio. Manco fosse vietato gioire collettivamente per chi, mettendosi individualmente al collo una medaglia, ha in fondo condiviso quell’oro, quell’argento e quel bronzo con ogni italiano. Per una volta, a farci esultare e sognare, a renderci orgogliosi, non sono infatti calciatori milionari o uomini coccolati da sponsor e programmi tv: sono ragazze e ragazzi che non conoscevamo, donne e uomini normali di famiglie normali di un’Italia normale. Volti fino a ieri invisibili. Storie ancora non raccontate. La trama dei loro sogni, come la trama dei sogni di molti italiani, è fatta di fatica e sudore, di allenamenti sfiancanti, di sacrifici quotidiani, di soldi investiti alla banca delle speranze. Per questo la vittoria, quando arriva, è di tutti. Anche di chi sembra godere solo delle altrui sconfitte. E non c’è differenza fra l’Italia che va a Tokyo e quella che i cento metri invisibili li corre ogni giorno. L’Italia che si vaccina senza gridare. E quella che si lamenta. L’Italia che ha fiducia: nella scienza, nel prossimo, nel futuro. E quella che non si fida di nessuno. L’Italia che scommette su Draghi. E quella che cerca di disarcionarlo in segreto fingendo invece di sostenerlo pubblicamente. L’Italia che da sempre fa i conti con un male oscuro: la sindrome di Palazzo Chigi. Quella che dopo qualche mese da premier ti fa pensare d’essere insostituibile. Quella che induce chi ti ha portato sin lì a cacciarti dopo pochi mesi (senza motivi apparenti). Chiedere a Monti - e alla sua scelta civica - o a Dini: entrambi confusero l’egocentrismo con il consenso popolare, fondando partiti incapaci di resistere persino ai loro sbalzi d’umore. Chiedere a Conte, che prima vuole tornare a fare l’avvocato e che poi fa il leader del Movimento 5stelle col malcelato sogno di tornare nella stanza dei bottoni. Chiedere a Renzi, che sembra disposto a tutto pur di tornare al potere. O a Letta, che sembrava essersi salvato fuggendo dal palazzo e che ora vuole rientrarvi rischiando di perdere tutto, inclusa la credibilità che così faticosamente s’era costruito lontano dal governo e dal Paese. O chiedere a D’Alema, troppo preso dalla smania di sostituire Prodi e dalla convinzione d’essere il nuovo Luigi XIV (“Lo Stato sono io”).

Draghi - come Jacobs e come la staffetta - ha già vinto i cento metri: i vaccini, la ripartenza del Paese, la credibilità internazionale ritrovata. Ma gli lasceranno vincere la maratona (che in fondo quasi tutti dobbiamo correre insieme a lui)? Inizio a dubitarne. E potrebbe anche rispuntare la sindrome.













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