La scuola in Alto Adige deve costruire convivenza
Comunque lo si legga, in Alto Adige il dibattito sulla scuola è la certificazione di una sconfitta politica. Una sconfitta che ancora una volta la campagna elettorale trasformerà in altro. In un terreno di scontro e di incomprensione. In un fuoco da accendere al momento giusto per scaldare elettori visti come tifosi più che come abitanti del presente. Non si tratta più di attribuire ragioni o torti. Va compreso viceversa quello che ormai è un disagio universale. Il disagio di italiani che si sentono (ancora) ospiti indesiderati in scuole tedesche che dovrebbero crescere bilingui i loro figli. Il disagio di tedeschi che temono che i loro pargoli studino al rallentatore per aspettare chi ha problemi con l’altra lingua. Il disagio di chi, restando in una scuola tedesca, fatica ad imparare bene l’italiano e l’analogo disagio di chi, in un istituto italiano, continua ad imparare un tedesco che non si parla in città, al campetto di calcio o nelle valli. La questione è tutta qui, nell’incapacità - che è storica e che è figlia di un’impostazione politica e culturale sbagliata, da una parte e dall’altra - di abbattere l’ostacolo che ci fa considerare altra e diversa la lingua del vicino di casa, del collega, dell’amico che gioca con noi ma che poi non ci invita alla festa di compleanno: perché ci considera comunque “diversi”. Vale in egual misura per gli italiani che non coinvolgono in varie cose gli amici tedeschi e per i tedeschi che fanno lo stesso con gli amici italiani. Ed è incredibile che, nel 2023, non si riesca nemmeno a copiare ciò che hanno saputo fare i ladini. Grazie a una scuola realmente trilingue, con tanto di finestra affacciata sulla quarta lingua (l’inglese) i ladini passano infatti da un idioma all’altro senza grandi difficoltà.
Difendere e tutelare l’identità, vari riti inclusi, è comprensibile e anche giusto. Ma non si deve avere paura - ripeto: da una parte e dall’altra - di crescere generazioni bilingui nell’anima ancor prima che nella parola. Il che, in una terra come questa, dovrebbe accadere senza essere costretti a spostarsi nella scuola “straniera”, come ormai - numeri disarmanti alla mano - fanno quasi tutti. E il fatto che qualcuno ora proponga dei test d’ingresso è un sigillo sul fallimento di una scuola aperta, capace di costruire convivenza, di abbattere steccati culturali ancor prima che linguistici. Cosa ancor più grottesca in un tempo che non divide più il mondo in tre (tedeschi, italiani e ladini), ma in cento, in mille. Ogni volta che si fa un mezzo passo avanti, c’è chi ci riporta al punto di partenza.