La memoria, questa sconosciuta
Facciamo i conti con la memoria, in questi giorni. Soprattutto per il “Giorno della memoria”, quel 27 gennaio che ha il merito di farci tornare con il pensiero alla Shoah e il demerito di permettere a molti di noi di pensarci solo per poche ore all’anno. Certo, potrebbe anche andare peggio, considerato che negazionisti e revisionisti ormai spopolano, ottenendo spesso uno spazio e un ascolto spropositati. Ma il fatto resta: fatichiamo sempre a confrontarci con il nostro ieri. A volte adducendo la scusa della vicinanza: è passato troppo poco tempo. Altre volte perché molti sguazzano nell’oblio, che è il male sottile di un tempo che non solo non sa fare i conti col passato, ma tende proprio ad ignorarlo bellamente. Eppure le vittime dell’Olocausto sono ancora davanti ai nostri occhi: in foto, in immagini, in articoli, in libri, in film, in dibattiti, in frammenti di ricordi che appartengono a quasi ogni famiglia. «Se comprendere è impossibile - scriveva Primo Levi - conoscere è necessario». «Auschwitz - aggiungeva con una frase che mette i brividi anche se letta oggi - è fuori di noi, ma è intorno a noi. La peste si è spenta, ma l’infezione serpeggia».
Ma facciamo (male) i conti con la memoria, anche quando parliamo del governo guidato dal dimissionario Conte: scopriamo infatti con un candore prossimo all’ingenuità l’esistenza dei voltagabbana in Parlamento. Come se Bruto e molti altri cospiratori, traditori e professionisti del giro di valzer a tempo di record non avessero già percorso e ripercorso, modificandola, la storia. A colpire, semmai, è che a cercare alla Camera e al Senato i voltagabbana siano coloro che hanno costruito il loro successo sui «vaffa», sui «mai più», sull’«apriremo il Palazzo come una scatoletta di tonno» e su una diversità che è sempre presunta. L’ultima versione, infatti, è: accettiamo tutti, purché non siano indagati. Non è dunque una colpa pensarla diversamente. Il peccato originale c’è solo se si finisce in un’inchiesta, cosa che fra l’altro succede quasi ogni giorno, in Italia. Ancora una volta chi solleva un problema viene espulso e si creano maggioranze contro qualcuno (ieri i pericolosi comunisti, poi i terribili fascisti, oggi prima un Matteo e poi l’altro). Nessuno che si ricordi che ogni scena è già vista. Rispuntano persino i rinoceronti della politica del rancore: se serve un voto “contro”, c’è spazio per tutti, anche se arrivano direttamente dal museo delle cere. Peccato che l’Italia abbia bisogno di ripartire: “con” delle idee, “con” i cittadini che faticano ad arrivare alla fine del mese e a capire questa ennesima crisi, “con” dei programmi che siano fatti per far rivivere il Paese e non per far sopravvivere il governo e il parlamento.
E la vita, intanto, se ne va tragicamente insieme alla memoria: perché continua a morire la generazione che ci ha preceduto. Il covid si porta via loro e i loro pensieri, i loro ricordi. Il vaccino non serve per salvare solo loro e noi, ma anche per dare a un senso a ciò che siamo diventati grazie a loro. La memoria ha bisogno di testimoni.