La guerra nel nostro orticello
Di solito tendiamo a guardare il nostro orticello. Abituati a far ruotare tutto attorno a noi anziché a considerarci un frammento - minuscolo, fra l’altro - di un pianeta complesso e in tutti i sensi sempre più caldo, per non dire bollente. Alzare lo sguardo o guardare le cose da un altro punto di vista comporta fatica. Per non dire dello sforzo necessario per uscire dall’egoismo cercando di entrare - a tutti i livelli - non solo nell’altruismo, ma anche nell’altrove.
Mi torna in mente una frase che mi ha detto Erri De Luca in una notte d’acqua (tanta) e di parole (poche, ma di peso, quali sono sempre le sue). Trascrivo a memoria: «Spesso vado nelle scuole e una delle prime cose che noto, quando entro nelle aule, è la carta geografica, con l’Italia al centro e il mondo a farle da cornice. Arrivato in Messico, mi sono accorto che faticavo a trovare l’Italia, nella cartine che osservavo sui muri di aule e bar». Al centro c’era ovviamente il Messico e l’Italia era una piccola scheggia dispersa in una mappa che ai nostri occhi sarebbe persino sembrata attaccata alla parete a testa in giù. Ritrovo quella frase in un appunto mentale proprio mentre il mondo torna ad avere paura. Non degli attentati. Non di un terrorismo che ha “successo” proprio perché colpisce quasi alla cieca. No, questa volta il mondo ha paura di una guerra vera. Due gli hashtag ricorrenti, sui social, in queste ore. Due insomma le parole chiave comparse in molte delle comunicazioni, delle reazioni, delle emozioni che hanno inondato la rete. WW3 il primo; Franzferdinand, scritto tutto attaccato, il secondo. WW3 significa World War Three, terza guerra mondiale. E Franzferdinand è un rimando evidente all’arciduca d’Austria assassinato a Sarajevo nel 1914 da Gavrilo Princip: la tragica scintilla che originò un incendio devastante, chiamato Prima guerra mondiale.
Non serve uno stratega per intuire come l’uccisione del generale iraniano Qassem Soleimani, su ordine di Trump, scatenerà il terrorismo ovunque si possano colpire degli americani e, in senso lato, degli occidentali. Il presidente Usa - come ha detto Joe Biden, vice di Obama alla Casa bianca e probabile competitor di Trump nell’imminente corsa elettorale - «ha gettato un bastone di dinamite in una polveriera». Poco conta capire se il bastone sia legato alla necessità di Trump di ricompattare l’America in vista del voto o da chissà quali altri giochi più o meno oscuri. È ora di alzare lo sguardo. Cercando in tutti i modi di evitare di sprofondare davvero nella terza guerra mondiale. Altro che Conte, Di Maio, Paragone, Salvini...