La fretta (di riaprire) funziona solo se si è tutti seri
Tempi duri per gli allenatori di calcio. Non si gioca più. I tanti italiani che, fino a ieri, si professavano mister migliori di quelli delle loro squadre del cuore e della nazionale, ora fanno tutti i virologi. Talvolta, nei frammenti che il nuovo “lavoro” lascia loro liberi, fanno i ministri della sanità o i capi del governo (non solo di quello italiano). Nei casi più sofisticati, si prestano anche ad interpretare leggi e decreti: da costituzionalisti. Tutti hanno una loro teoria. Sull’origine del virus, come se gli scienziati si fossero formati sui cartoni animati con il solo intento di prenderci in giro. Sulle scelte dei governi nazionali e locali, come se tutti si divertissero a cambiare idea ogni cinque minuti (sensazione peraltro fortemente aiutata dalle continue esternazioni di più di un politico). Tutti hanno un’idea chiara anche sul distanziamento: chiamiamolo solo così, perché aggiungere “sociale” crea già di per sé disparità. Non mancano - ci mancherebbe - progetti individuali o collettivi sulle chiusure e sulle aperture.
In un contesto complicato, fra mille teorie false o validissime, ora ci si è messo anche il conflitto - in verità abbastanza antico, nell’Italia dei mille campanili - fra il governo centrale e i territori. Persino le Province di Bolzano e di Trento, pur forti di un’autonomia che permette loro più di una accelerazione, ci mettono del loro. Un giorno camminano separate. L’altro cercano un’intesa. L’altro ancora, anziché ragionare per l’intera comunità, tendono a lisciare il pelo ai propri elettori e ai tanti cittadini, comprensibilmente esasperati, che non reggono più gli “arresti domiciliari”.
Il ministro Boccia fatica - non da oggi - a considerare davvero speciali le terre a statuto speciale, ma a fronte della legge varata dalla Provincia di Bolzano per far riaprire (e ripartire) l'Alto Adige, solleva una questione interessante: non si oppone alla legge in sé, e non critica dunque l'autonomia, ma si preoccupa (e impugna dunque la legge) per la salute dei lavoratori. La mossa è intressante: perché evita lo scontro corpo a corpo, ma mette un piedino nella porta prima che si apra del tutto per dire che lui, qualora i dati non dovessero confortare il presidente Kompatscher, l'aveva detto. E aveva messo le mani avanti. E non si può certo criticare un ministro che si preoccupa della salute dei lavoratori, anche se è evidente che se tutto andrà bene - come ognuno si augura - fra qualche settimana nessuno si ricorderà più del fatto che il minstro disse che questa legge non andava bene. A ricordarci che, date le dimensioni dell’emergenza, la responsabilità è del governo, è Gustavo Zagrebelsky. Ma il presidente emerito della Corte costituzionale sottolinea anche che il governo può aprire e chiudere i rubinetti, dando più o meno spazio ad alcuni territori che hanno dimostrato di saper gestire la situazione (dal punto di vista sanitario ancor prima che da quello istituzionale o politico). La fretta (di aprire tutto) non aiuta, ma il senso di responsabilità sì. E serve prima di tutto questo: gente seria che rispetta e fa rispettare le regole. Si faccia dunque ripartire chi è in grado di farlo - ammesso che non cerchi solo scorciatoie travestite da prerogative dell’autonomia -, non facendo di tutta l’erba un fascio.