L'ottimismo della volontà nell'urna di oggi



È il giorno della pagina bianca. Una pagina - per continuare con la metafora usata dal presidente Mattarella per descrivere il voto di oggi - che è tutta nelle nostre mani. Una pagina, ancora, che ha un senso solo se è scritta: se contiene le scelte di ogni elettore.

La democrazia non è un gioco: è il sistema che regge un Paese. Un meccanismo che si inceppa se all’elettore non viene data la possibilità di scegliere. E anche quella di non scegliere, come pensa chi oggi non vuole andare alle urne: protestando contro il sistema (cosa legittima), ma di fatto affidando al presunto sistema una delega in bianco: obiettivo curiosamente opposto, nello specifico, a quello prefissato. 

Tutti si aspettano - e molti, a cominciare dall’Europa, temono - che dall’urna esca un’Italia spezzata in tre. Con altri rivoli insufficienti per trasformare in forza una delle tre “debolezze”. Parlo di debolezze per due ragioni. La prima è che arrivare anche con un cospicuo vantaggio al traguardo, se non si vince davvero (e la soglia del 40 per cento sembra per tutti lontana), servirà a poco. La seconda è che l’odio che ha caratterizzato questa pur fiacca campagna elettorale rende fragile ogni possibile alleanza. C’è un paradosso, però: l’assenza di una maggioranza certa potrebbe infatti portare a una sorta di governo dei migliori, ad un’alleanza sulle cose concrete da fare per far uscire dalle sabbie mobili quest’Italia che finalmente sta ripartendo e che ha bisogno di trovare stabilità, governabilità e soprattutto fiducia.

Il sistema elettorale, purtroppo, non aiuta. Faccio un esempio personale: un tempo molti mi chiedevano non dico per chi votare, ma almeno un buon consiglio su persone che per lavoro ho ovviamente più volte visto e ascoltato. Oggi mi chiedono prima di tutto come si vota: sul giornale l’abbiamo spiegato e scritto più volte, ma la riformetta elettorale ha reso ancor più complicato il già difficile rapporto fra i cittadini e la politica. Un rapporto che va però ricostruito: perché la colpa non è mai di chi perde la fiducia; è sempre di chi non la sa conquistare o trattenere. Troppo facile prendersela con chi protesta, con chi vota (o non vota) di pancia, con chi fa di ogni erba un fascio. Ma va apprezzato chi, puntando su inclusione, integrazione, dialogo e convivenza, non ha fomentato e incendiato le domande, ma ha cercato le risposte. 

Nell’urna oggi si infilerà di tutto: il proprio disagio, la propria sfiducia, la propria visione del Paese. Ma anche - è l’auspicio - quello che Gramsci chiamava l’ottimismo della volontà. Nell’epoca in cui le ideologie tendono a svaporare, restano i valori. Resta la coerenza. Resta l’etica. Resta una straordinaria certezza: quella, come ha scritto ieri Scaglia, di «poter votare per rendere onore a chi ha sacrificato la vita per renderci questa sacrosanta libertà». Non è poco. Buon voto.













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