L'editoriale

I nostri "bellissimi" doveri

Se - anche in tempi di coronavirus - cerchiamo sempre di aggirare le misure previste perché i nostri diritti no, quelli non si toccano, dobbiamo riflettere. Perché pensiamo solo ai nostri diritti inviolabili e poco o nulla ai nostri "doveri inderogabili"


Paolo Mantovan


Se qualcuno lascia la zona rossa per venire a sciare in Trentino o per svernarci (è accaduto: sono arrivati sia da Vo’ che da Codogno, come leggiamo nelle cronache) o se qualcun altro se ne va dritto al pronto soccorso con quaranta di febbre noncurante della procedura prevista e ben reclamizzata che in presenza di sintomi da coronavirus gli dice di chiamare un preciso numero di telefono, ecco, se ciò accade (e accade ripetutamente) dobbiamo riflettere. Se cerchiamo sempre di aggirare le misure previste perché i nostri diritti no, quelli non si toccano, dobbiamo riflettere assai. Dobbiamo riflettere sul fatto che di pensare agli altri proprio no, non ci riusciamo. Che se poi siamo contagiati noi, degli altri chissenefrega.

Sì. Siamo ancora tutti “morbosamente” attaccati ai nostri inviolabili diritti e non ci ricordiamo quasi nulla dei nostri inderogabili doveri. Già. I “doveri inderogabili”, come si legge all’articolo 2 della nostra Costituzione, un articolo in cui sono riconosciuti i “diritti inviolabili” e viene richiesto l’adempimento dei “doveri inderogabili”. Noi dei diritti inviolabili ce ne ricordiamo sempre. Figurarsi! Quelli mica ci scappa di dimenticarcene. Quando andiamo all’ospedale e pretendiamo una prestazione tutta per noi e non sopportiamo che ci facciano aspettare ed esigiamo che le cose le sappiano bene e le facciano fino in fondo e che ci trattino come si deve, accidenti, e che ci guariscano perdio! Poi, però, dei “doveri inderogabili” ci dimentichiamo. Pensate al carico di lavoro delle strutture sanitarie in questi giorni, al carico delle terapie intensive, pensate al numero di tamponi (migliaia) che stanno esaminando i nostri specialisti di microbiologia clinica. E pensate che dei tamponi a noi nessuno chiede il conto. 

Negli Stati Uniti invece recapitano un conto di oltre mille dollari ai cittadini che hanno effettuato il test (notizia di “Repubblica” del 4 marzo; Vasco Rossi dice 3200 dollari in California, ma fa poca differenza a ben pensarci). Ecco perché tra i doveri inderogabili c’è anche quello di pagare le tasse. Ecco perché evadere le imposte fa male a tutti: perché a noi servono per tenere in piedi un sistema sanitario (fra le altre cose) che vale per tutti e prova a salvare tutti, ricchi o poveri, comportandosi “democraticamente” come il virus; il virus che non guarda in faccia a nessuno, non valuta il portafoglio di nessuno, non si cura di non oltrepassare questo o quel confine, perché arriva da dove vuole, con chi se ne va e con chi ritorna. 

Il coronavirus ci impone di tornare a riflettere seriamente su quanto pensiamo agli altri. Perché gli altri alla fine siamo noi. Gli altri siamo noi. 

E anche le attività commerciali richiedono grande attenzione. Perché anche in questo caso il virus non è che si ferma dove c’è denaro circolante. Certo, la crisi economica ci fa paura e occorre sostenere le imprese (che poi danno lavoro a tutti noi), ma dobbiamo prendere delle precauzioni: contingentare, separare, ridurre. Non si può pensare di chiudere alle visite le case di riposo, di mettere il lucchetto alle scuole, all’università e contemporaneamente lasciare che tutto il resto rimanga serenamente e perfettamente come prima, come nulla fosse. Al massimo qualche raccomandazione del tipo: “state attenti, veh”! No. Dobbiamo essere coerenti, definire dei protocolli, fare pure dei controlli puntuali, altrimenti, oltre al diffondersi del contagio, si comincia pure a non capire più nulla, perché mai una cosa si può fare e un’altra no, se viene prima la salute e poi l’economia o viceversa. Se ha senso chiudere un’intera regione e in un’altra confinante lasciare che tutti si muovano come credono soprattutto dove c’è un’attività commerciale: una sproporzione, no? 

Quindi occorre tornare a studiare in profondità la nostra Costituzione, quella che tanti si ostinano a considerare “la più bella” (come s’intitola il bel libro di Alessio Lasta, appena uscito per “Add” editore), la nostra Costituzione che richiede l’adempimento dei nostri doveri inderogabili. Doveri che in questo caso partono da un rispetto serio del “cordone sanitario”, delle limitazioni alle nostre libertà per motivi di igiene e sanità pubblica, e proseguono nel richiederci comportamenti coerenti, una condotta che valuti come elemento essenziale la presenza e il rispetto degli altri (che siamo noi!) e che - last but not least si direbbe in inglese (ultima cosa, ma non per importanza) - ci deve ricordare che pagare le tasse in ragione della nostra capacità contributiva non è una cosa brutta ma una necessità collettiva. È venuto il tempo di pensare ai doveri inderogabili che ci richiamano alla responsabilità individuale. Per questi giorni (settimane, mesi…) di virus e forse anche per il futuro. 

E dobbiamo cominciare a riflettere sul fatto che questi nostri doveri sono “bellissimi”, perché alla fine il test qui ce lo fanno senza mandarci il conto, perché così abbiamo una sanità pubblica che può cercare di resistere anche contro quest’ondata di coronavirus.

 













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