Berlusconi, indiscusso (e discusso) protagonista degli ultimi decenni. Fra le stelle e nella polvere
Silvio. Bastava pronunciare o scrivere il suo nome. Un po’ come ai tempi di Cesare. Non serviva nemmeno aggiungere il cognome. Perché Berlusconi è riuscito ad essere prima di tutto una specie di bene collettivo. Per alcuni un male collettivo, ovviamente. E non potrebbe essere altrimenti, anche se lui amava il consenso, possibilmente universale. È stato anche un collezionista di aggettivi e nomignoli. Ognuno capace di descriverlo alla perfezione. Cavaliere. Dottore. Spregiudicato. Presidente: del Milan, dell’azienda che ha costruito dal nulla, di Forza Italia, del consiglio (nel suo cuore probabilmente in quest’ordine). Intrattenitore. Imprenditore. Palazzinaro. Statista (in verità amava definirsi tale soprattutto lui). Editore. Influente. Costruttore. Sognatore. Spudorato. Innamorato. Geniale. Temerario. Coraggioso. Visionario. Imputato. Combattente e influente: ieri lo ha definito così anche la presidente del consiglio. E se Giorgia Meloni oggi è a palazzo è grazie e soprattutto a ciò che ha costruito in questi anni Berlusconi.
Anomalo in tutto, Silvio. Vincente in quasi tutto. Divisivo in quasi tutto (potere del “suo” bipolarismo). Chiacchierato, amato o detestato in tutto. Eccessivo in tutto. Perché era tutto e il contrario di tutto. Persino nel successo. Persino nelle scommesse (all’apparenza) impossibili. In politica e nelle istituzioni s’è mosso sempre con lo stesso, personalissimo metodo: quello del “ghe pensi mi”. Che richiede indubbie capacità, ma che - in virtù di un’autostima prossima all’infinito - non prevede la presenza di altri. Impossibile fargli ombra. E impossibile, secondo molti (e molte, come noto), resistergli. Ha incarnato, secondo forse solo ad Agnelli (che Berlusconi amava e insieme detestava, considerandolo in fondo un mito irraggiungibile), il sogno italiano. Per tutti, rappresentava un esempio (da idolatrare o da combattere): il vincente, il piacione, lo strafottente, quello che ha fatto un mucchio di soldi, il bandito gentiluomo che ce l’ha fatta e che dunque può tutto (e tutto gli si perdona). E chi osa non farlo o persino processarlo (in tribunale, dove ha passato quasi metà dell’esistenza, o sulla piazza) è un comunista cattivo. Come chi lo ha criticato anche per l’immagine dell’Italia, non sempre esattamente edificante, che ha esportato nel mondo, soprattutto nei tanti anni passati a palazzo Chigi.
Nel bene e nel male, ha scritto gran parte della storia degli ultimi quarant’anni. Nella Milano da bere, ai tempi di Craxi (suo testimone di nozze), è letteralmente esploso. E ha cambiato il nostro modo di pensare e di vivere. Con palazzi e interi quartieri. Con le Tv, trasformando Tele Milano in Canale 5, rilevando Rete4 e Italia1 e sbarcando anche all’estero. Con il Milan delle stelle e delle mitiche vittorie. E ha fatto lo stesso con la discesa in campo, come la chiamò lui stesso nel 1994: dopo Tangentopoli e l’annientamento della classe dirigente politica italiana, si mise in testa di riempire, creare o occupare, a seconda dei punti di vista, uno spazio. E lo fece. Sdoganando anche una destra che fino ad allora era rimasta nelle catacombe della politica. Nessuno ci credeva, trent’anni fa. Ma in pochi mesi, forte certo del suo impero mediatico e dei suoi dobloni, Berlusconi fondò un movimento (con un nome che era già un colpo di genio: Forza Italia), vinse e arrivò a Palazzo Chigi. Forte del sogno (e del voto) di molti italiani, pensava di cambiare il Paese in pochi giorni. Col piglio dell’imprenditore. Ma non andò esattamente così, anche se riuscì a tornarci più volte, a palazzo Chigi, in stagioni che ora sembrano di colpo lontanissime. Scorrendo le immagini di questi anni, il suo ego e il suo moderno populismo (è stato il primo a parlare al cuore e alla pancia di tutto il Paese) tendono a prevalere sulla sua biografia istituzionale: Merkel che lo aspetta mentre lui telefona, l’amico Putin (e altri amici non proprio presentabilissimi), la bandana sfoggiata con Blair, le battute, il volto tumefatto dopo che gli era stata scagliata addosso una statuetta del Duomo di Milano, la capacità inimitabile di sintonizzarsi sulle frequenze di chiunque avesse di fronte: nel dramma del terremoto o in un vertice fra imprenditori o donne e uomini di Stato. Sembrava che il suo sole non dovesse e non potesse mai tramontare. Sembrava davvero immortale. Al punto che nessuno ha pensato mai seriamente al tema della sua eredità politica. Riassumere la sua vita (anzi: le sue varie esistenze), i suoi successi, le sue cadute, le sue resurrezioni, è quasi impossibile. Penso che ognuno - in queste ore - provi una sua personalissima sensazione, che ognuno abbia i suoi ricordi, i suoi episodi ben nitidi in testa (pieni di fascino o di fastidio). Perché, con un ruolo o con un altro, ha abitato per quasi mezzo secolo le nostre vite. Memorabile la battuta di Giorgio Gaber: non mi preoccupa Berlusconi in sé, ma Berlusconi in me. Chi l’ha conosciuto bene, più che le cene galanti o le cadute di stile, più che i momenti politici che ne hanno caratterizzato il cammino istituzionale (con diverse innovazioni e rivoluzioni impensabili prima del suo avvento, imprevedibilità e colpi di scena inclusi), ne ricorda l’umanità, la generosità, l’amicizia. Persino la bontà. L’immagine pubblica e il suo pensare d’essere sempre al di sopra delle cose e persino della legge, ha in parte offuscato gli aspetti umani di Berlusconi. Ne aggiungo uno anch’io. A suo modo emblematico. Riunione delicata sui rapporti fra Stato e Autonomia a Palazzo Chigi. Ci sono Berlusconi e i suoi principali ministri da una parte e gli allora presidenti delle due Province autonome Lorenzo Dellai e Luis Durnwalder dall’altra. Io prendo appunti in fondo al tavolo, in una riunione a tratti seria e a tratti esilarante. Alla fine Berlusconi deve correre a un altro appuntamento. Si gira però di scatto e torna indietro, scusandosi per non avermi salutato. Ho solo il tempo di chiedergli se il suo ufficio stampa ci farà avere le foto dell’incontro. E scoprirò poi che arriveranno in ritardo perché non potevano “uscire” senza che lui le vedesse. In fondo Berlusconi è anche in queste due istantanee: l’aspetto umano e il desiderio di controllare e governare tutto. Per la cronaca, negli anni ho incontrato molti presidenti del consiglio (in carica) e solo Romano Prodi (che lo sconfisse due volte) fu ugualmente cordiale. Il destino ha voluto che fossero proprio loro due i grandi duellanti di quella che, guardata ora, sembra l’ultima stagione del grande confronto politico italiano. Non so se oggi finisca la Seconda Repubblica. Ma so che Berlusconi l’ha incarnata totalmente, questa stagione. Fra le stelle e nella polvere.