La carne è “coltivata” nei laboratori di Trento
Il futuro della nostra alimentazione. Viaggio nei laboratori del Dipartimento Cibio: la collaborazione con Bruno Cell di Lattanzi
(foto brunocell.com)
TRENTO. «Non chiamatela “carne sintetica” o “carne Frankenstein”. È carne colturale o, se volete, carne coltivata in laboratorio». Il laboratorio è quello del Dipartimento Cibio dell’Università di Trento. Ad invitarci ad utilizzare termini che non creano “terrore” sono Stefano Biressi e Luciano Conti, docenti associati che stanno lavorando alla ricerca ai fini della produzione di “carne artificiale”. Non va bene neanche questo termine, ci dicono. Ne esistono altri? «Carne pulita, carne sana, carne sostenibile».
Ognuno tira l’acqua al proprio mulino. Il “mulino” di cui vi parliamo oggi si trova sulla collina est, in via Sommarive 9 a Povo. Là ha sede il Cibio (Cellular, Computational and Integrative Biology) diretto da Paolo Macchi. Ha sede in Trentino l’avanguardia della produzione del “cibo del futuro”. «Ma non si preoccupino gli allevatori. Non si tratta di alimenti che andranno ad infastidire le eccellenze italiane» rassicura Conti.
La competizione - spiegano i due ricercatori, che al Cibio operano assieme a due Phd, Giulia Fioravanti e Nike Schiavo - in un primo momento sarà con altri tipi di prodotti: i surrogati vegetali della carne, che già oggi popolano gli scaffali dei supermercati. Si pensi alle polpette o agli hamburger di soia, per capire di cosa si sta parlando. «Solo in un secondo momento si presenterà la necessità di sostituire, almeno in parte, la carne vera e propria» racconta Conti.
«D’altra parte la popolazione mondiale sta aumentando. Entro il 2050 saremo 10 miliardi. Non possiamo pensare che si possa continuare con questo modello di consumo. Ogni anno vengono macellati 300 milioni di bovini, 500 milioni di maiali e un miliardo e mezzo di polli». Ecco allora che si batte la strada scientifica degli alimenti derivanti da cellule staminali: riproducibili e moltiplicabili. Si tratta di un mercato potenziale enorme, che potrebbe avere fatturati da capogiro. Ad investire nella ricerca trentina e futura realizzazione, possibile vendita di brevetti e altrettanto possibile coproduzione a livello nazionale e internazionale è la società Bruno Cell srl, che fa capo all’imprenditore romano Stefano Lattanzi.
La sede fiscale si trova in piazza Vicenza a Trento, ma se vi rivolgere a quegli uffici due gentili signorine al bancone della reception vi diranno che quello è uno studio commercialista e che non sono autorizzate a fornire informazioni su Bruno Cell. La società di Lattanzi è una start-up con un formale pedigree trentino, ma si sa che in diritto la forma è sostanza. Lattanzi ha investito 110 mila euro nella ricerca all’interno dei laboratori del Cibio.
Usiamo il termine al plurale perché nel polo scientifico collinare si sono uniti, nella missione comune, due realtà: il “Laboratorio di biologia delle cellule staminali” guidato a Conti e il “Laboratorio di cellule staminali e medicina rigenerativa” di Biressi. La società Bruno Cell, a fronte di un investimento iniziale nel progetto di ricerca del Cibio, in prospettiva conta di generare brevetti, di cedere in tutto o in parte il know-how o di partecipare con grandi società dell’alimentazione alla produzione queste carni coltivate. Parliamo, a livello globale, di un possibile giro d’affari miliardario.
Al momento la produzione in Italia non è possibile. Biressi e Conti lo dicono con un certo rammarico. «Quel che è certo - dice Biressi - è che in tutto il pianeta si sta lavorando alla produzione in laboratorio di questo nuovo cibo». «Si sta andando in quella direzione e noi, Italia, se non ci sarà un adeguamento normativo, rischiamo di restare indietro. Oggi qui è possibile la ricerca, non la produzione». «Se le cose non cambiano, il risultato - aggiunge Biressi - è che quei prodotti, quando ci saranno, saranno importati».
E la ricerca italiana sarà quindi messa a disposizione di società straniere. Bruno Cell srl (il nome è un omaggio al filosofo del 16° secolo Giordano Bruno) - che al Cibio finanzia un dottorato - oggi è il punto di riferimento in Italia nel mondo della carne artificiale. La collaborazione con il Cibio è iniziata tre anni fa. Il centro di biotecnologie dell’ateneo in questo settore sta creando un network a livello nazionale: lavora con un gruppo di bioingegneria della Fondazione Amaldi, con l'Università di Tor Vergata (il laboratorio del professor Cesare Gargioli), con l’Università di Torino (il laboratorio del professor Alessandro Bertero) e con il Poitecnico di Torino (Diana Massai).
La ricerca è avanti. Al momento qui da noi si opera su prodotti destrutturati, ma i due professori assicurano che si arriverà sicuramente a qualcosa di molto simile alla “fettina” che oggi vediamo in macelleria. La “carne coltivata” è già realtà in due ristoranti, a Singapore e Israele. E i prossimi a dare spazio a questo tipo di alimenti saranno gli Stati Uniti. In Europa per poter produrre e vendere questi prodotti da laboratorio si deve avere l’autorizzazione dell’Efsa (Autorità europea per la sicurezza alimentare). Gli scienziati di Povo sperano che non venga approvato il disegno di legge italiano riguardante il blocco della produzione.
Il pacchetto normativo prevede il divieto di produzione in Italia di alimenti derivati a partire da colture cellulari o tessuti di animali vertebrati. Si parla di campagna contro il "cibo Frankenstein" cui, in Trentino, avevano aderito, tra gli altri, il presidente della Provincia autonoma Maurizio Fugatti e l’arcivescovo emerito mons. Luigi Bressan. Attualmente esiste anche un ostacolo economico. «Si calcola che in Israele un petto di pollo colturale costi due volte e mezzo quello naturale » spiega Stefano Biressi. Al Cibio uno sponsor è anche la fondazione animalista “Save the Chickens”, che ha stanziato 170 mila euro per un progetto sulla carne di pollo.
Ma di cosa sa questa “nuova carne”? «Noi non l’abbiamo ancora assaggiata. Bisognerebbe chiedere al Re d’Olanda, Paese molto avanti a livello di ricerca. Sappiamo che l’ha mangiata». E? «Ha detto che è un po’ stopposa». Palati reali, poi ci sono quelli plebei. E comunque - assicura chi è del settore - ci sono ampi spazi per migliorare il prodotto, oltre che per abbassare i prezzi. «Ma quello dipende dalle tecnologie in evoluzione». Biressi e Conti - che sono i pionieri italiani in un network che conta circa 20 persone (parliamo di ricerca, perché poi c’è l'investitore Lattanzi che punta alla messa a reddito) dicono che qui in Italia si potrebbero avere i primi ristoranti con carne coltivata fra 4 anni. Fra 6 potrebbe arrivare ad un consumo più ampio, «ma non di massa». «L’impatto forte si dovrebbe avere entro il 2050».
Agli studi del Cibio si sta interessando anche la macelleria Cis di Bezzecca. Si parla di possibile collaborazione. Ma tecnicamente come funziona la produzione? «Qui ci concentriamo sull’ottimizzazione di proliferazione e selezione e sulle fasi iniziali del processo di maturazione. Per rispondere alla domanda: si fa una biopsia all’animale (ma può bastare anche un prelievo); si lavora all’espansione delle cellule che proliferano. Nel bioreattore si ricrea la condizione di crescita fisiologica, poi le si fanno convertire. Da staminali diventano muscolo e grasso. Poi puoi iniettare in gelatine impiantandole su matrici spugnose scegliendone le dimensioni oppure puoi stampare con le stampanti in 3D».