Vittorio Cerqueni ha corso la sua 200esima maratona
Primiero, il 62enne architetto ha raggiunto l’invidiabile traguardo “certificato” «Ho sempre gareggiato con cuore e mente lungo un percorso quasi mistico»
PRIMIERO. E sono 200. Sì, 200 maratone, tutte “certificate” corse da Vittorio Cerqueni, 62 anni, architetto con studio a Tonadico, che ci ha ormai abituato alla sua ricerca di macinare record per una sorta di sfida personale. «Ho corso con il corpo e con la mente – dice Vittorio Cerqueni – ricordandomi che la maratona è un percorso personale, intimo, quasi mistico dove la sfida è con se stessi e con i propri limiti e si vince una medaglia che è più di una medaglia».
Qualche numero per capire la portata della meta raggiunta: 200 maratone corse in 27 Stati per un totale di 8.439 km in 14 anni; 20 volte tra i primi 50 posti assoluti e 15 volte tra i primi 3 posti di categoria; best time: Lisbona 3h 29' 47”; 14 maratone corse tra 3h 29' – e 3h 39'; 10 maratone in 10 giorni consecutivi al Lago d’Orta (Novara) nel 2015, 2016 e 2017; 2 maratone nello stesso giorno (il 15 agosto 2016).
«Ho corso sopra i ghiacciai perenni del Circolo Polare Artico, sulle pietre millenarie della Grande Muraglia Cinese, sulla rovente sabbia del deserto del Sahara, nel luogo più arido e caldo del Nord America, il deserto della Death Valley in California, ho corso in cima al mondo, giù dai 5.354 m del campo base dell’Everest, in Nepal, radente alle acque impetuose delle Cascate del Niagara, nel vento dell’Ontario, sulla cresta di vulcani dormienti come in Islanda, sull’asfalto di metropoli e città: ad Est: Zagabria, Belgrado, Rijeka, Skopje, Budapest, Praga, Sofia, Tokyo; come ad Ovest: New York, Boston, Lisbona, Barcellona, Valencia, Siviglia; a Nord: Helsinki, Berlino, Monaco, Vienna, Varsavia; a Sud: Atene, Malta. Ed ancora sotto cime innevate, a Davos (Svizzera), sull'erba di alti pascoli, a Sonthofen nell' Allgau (Germania), sulla ghiaia e sui sassi come a Vaduz-Malburn (Liechtestein), totalmente immerso nella natura, come nel Parco Nazionale di Plitvice (Croazia) sotto autentici nubifragi, come a St. Michael im Lungau (Austria), nell’afa estiva e cocente, come a Porec (Croazia), d’inverno e di notte sotto il gelido nevischio come a Zurich (Svizzera), sulle strade blindate della Città Santa, Gerusalemme (Israele), con un menisco da operare come a Saragozza (Spagna), con l'influenza come a Lubiana (Slovenia), con una gamba e mezza, sicuro di partire ma non di arrivare, come a Tokyo (Giappone), pregando ininterrottamente per una persona ammalata per 42 Km, come a Trieste, in discesa, come ad Imst (Austria), o in salita per i 50 Km della Pistoia-Abetone. Ho attraversato torrenti pieni d'acqua gelida fino al ginocchio, come in Islanda. Ho corso su asfalto, su cemento, sulla gomma delle piste di atletica, su sentieri, su scalinate e su strade sterrate, sull'erba dei prati, sulla terra battuta, nella torba, nel fango, sulla ghiaia e sui sassi, su rocce, sui sampietrini, sulla sabbia del mare, su nere rocce vulcaniche, sulla neve e sopra il ghiaccio vivo, su tronchi di legno di passerelle malferme, su viadotti urbani e sopra ponti “tibetani” sospesi nel vuoto»..
Vittorio Cerqueni ha festeggiato la 100esima maratona nel 2013 nelle viscere della terra, sotto 500 metri nella miniera di Merkers nella ex Germania dell’Est ed ora l’ultima fatica, la 200.a maratona il 3 febbraio 2019, Bad Fussing, in Baviera, sferzata da vento gelido e neve.
Ancora un ricordo che gli è rimasto impresso. «Correvo a Crevalcore epicentro del terremoto che ha colpito l’Emilia Romagna; si percorrono strade asfaltate e sterrate; transitiamo sotto le puntellature poste tra due fabbricati lesionati, le ferite sono evidenti; qua e là altri “casolari” in rovina. La gente ti applaude; a lato della strada una bambina che sta giocando con due compagni mi urla “si vince qualcosa a correre?” rispondo... “si vince una medaglia che è più di una medaglia”. E’ la prima (e penso sarà l’unica) medaglia di cartone che i partecipanti ricevono all’arrivo; ma è una medaglia a forma di cuore con l’effige di una casa lesionata e con una croce, simbolo della speranza e della sofferenza della gente di Crevalcore». (r.b.)