«Volevo salvare la ditta di famiglia»
Maria Angelica Cappelletti ha spiegato al gip perché aveva iniziato la truffa
TRENTO. Anche se molto provata, Maria Angelica Cappelletti ha deciso di rispondere alle domande del gip Monica Izzo che ieri, per rogatoria, l'ha interrogata in carcere a Rovereto. La funzionaria dell'Azienda sanitaria, accusata d'aver sottratto 2 milioni e 300 mila euro, ha ammesso le proprie responsabilità, ma ha rivelato d'averlo fatto solo per salvare l'azienda di famiglia. Mezz'ora di domande. Mezz'ora di confronto in cui non sono mancati i momenti di tensione. Cappelletti si sarebbe detta dispiaciuta per quanto fatto e avrebbe chiesto scusa a chiunque fosse stato danneggiato dal suo comportamento, sottolineando d'essere stata sempre un'impiegata onesta e precisa. Una dipendente modello, insomma, che avrebbe messo in piedi la truffa solo perché spinta dalla paura che l'impresa edile fondata dal padre e di cui il fratello è socio potesse fallire, spazzata via dai debiti. La cinquantaduenne di Covelo, inoltre, avrebbe anche assicurato il gip e il procuratore Giuseppe De Benedetto d'essere stata l'unica artefice della truffa, basata su un sistema di rimborsi spesa fittizzi, e l'unica ad essere a conoscenza di quanto stava accadendo. Il fratello Eugenio, il marito Mauro Biasiolli e gli altri famigliari, insomma, sarebbero stati all'oscuro di tutto. Ai magistrati, che le hanno fatto notare come all'appello manchi ancora circa un milione di euro - la Guardia di Finanza ha appurato che dei 2 milioni e 300 mila euro sottratti "solo" un milione e 300 mila sono stati effettivamente utilizzati per risollevare le sorti dell'impresa «Agusto Cappelletti costruzione sas» - la funzionaria avrebbe detto di non poter rispondere subito, ma avrebbe chiesto qualche giorno per esaminare i documentim e riordinare le idee. Un aspetto, però, la donna avrebbe tenuto a sottolineare: lei e i suoi famigliari non avrebbero affatto condotto una vita dispendiosa. Niente spese pazze in capi e scarpe griffate, niente bollette iperboliche dal parrucchiere e nemmeno costosi viaggi all'estero. Una sola la vacanza in posti esotica, compiuta ad Aruba poche settimane prima che il "castello" costruito dal 2007 fino al mese scorso le crollasse addosso. Al ritorno da quei dieci giorni di ferie passati con la figlia, infatti, la donna aveva sollecitato il pagamento di quasi 50 mila euro di rimborsi che, inspiegabilmente, non erano stati effettuati durante la sua assenza. Lei non poteva saperlo, ma quello "stop" era stato disposto dalla magistratura.
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