Troppo ozono per il 70% degli alberi
Il risultato in un'indagine di tre biologhe della Fondazione Mach
TRENTO. Vanno a caccia di ozono e dei suoi effetti sulla vegetazione forestale. Sono tre biologhe della Fondazione Edmund Mach: Elena Gottardini, Fabiana Cristofolini e Antonella Cristofori. Sono nello staff della Piattaforma di biotecnologie ambientali della Fem e per il progetto Ozone Effort collaborano con il Servizio Foreste e Fauna della Provincia e con l'Appa, che contribuiscono alla ricerca con finanziamenti, banche dati e personale sul campo.
Di recente il progetto di ricerca Ozone Effort ha vinto il premio intitolato ad Umberto Bagnaresi, assegnato a Rende (Cosenza) durante i lavori dell'ottavo Congresso nazionale della Società italiana di selvicoltura ed ecologia forestale. La motivazione parla di qualità e completezza.
In pratica, a partire dal 2007 e per i successivi cinque anni, in venti stazioni di rilevamento sparse per le montagne trentine, sono stati collocati i cosiddetti dosimetri passivi. Le fiale restavano esposte per un'intera settimana, poi erano prelevate e sostituite dal personale delle Stazioni forestali, per essere successivamente analizzate. Le venti stazioni di «Ozone Effort» erano situate a quote variabili fra i cinquecento e gli oltre duemila metri d'altitudine, per quindi poter rilevare la situazione in ambiente forestale. Questi dati andranno quindi ora ad integrare quelli rilevati negli anni dalla preesistente rete dell'Appa, che si trova in fondovalle, e misura l'ozono che incide sulla popolazione umana. Le tre ricercatrici proseguiranno quindi anche nella direzione della salute umana, mappando il territorio per il rischio ozono, grazie a questa integrazione dei dati.
Gli input sono stati elaborati producendo una modellistica, grazie alla collaborazione con TerraData environmetrics, spin off dell'Università di Siena. Cosa risulta dunque finora dalla ricerca? Emerge un dato che fa riflettere ma non deve allarmare, come ammoniscono le ricercatrici. Circa il settanta per cento della vegetazione forestale trentina risulta esposta ad una quantità di ozono potenzialmente dannosa, superiore alla soglia indicata dalla Direttiva europea. Oggi la soglia di riferimento europea per l'ozono è pari a diciottomila microgrammi per metro-cubo, per quanto riguarda la vegetazione.
Da sottolineare che la Direttiva di riferimento indica per il prossimo 2020 un obiettivo soglia a lungo termine di molto inferiore: seimila microgrammi di ozono per metro-cubo. Il passo successivo della ricerca è stato capire gli effetti concreti sulle piante forestali (come le conifere), a partire dal reale assorbimento, studiando il cosiddetto flusso fitostomatico. Sul campo le ricercatrici hanno cercato invece segni visibili sulle foglie e altri possibili danni. Nelle stazioni con elevata quantità di ozono, in effetti, li hanno trovati ma solo sugli arbusti spontanei a sensibilità nota e sul bioindicatore Nicotiana tabacum, esposto ad hoc. Per ora non si riscontrano effetti visibili invece sulle specie arboree forestali.
Gli effetti noti in letteratura per eccesso di ozono sulle piante sono una riduzione dell'accrescimento, una maggiore suscettibilità alle malattie e una variazione delle capacità fotosintetiche. Alcuni articoli scientifici ipotizzano un possibile effetto sulle chiome. Se ne sa ancora poco. "Tutto deve essere verificato sul campo" ricordano le biologhe, e sul campo entrano in gioco diversi fattori: clima, composizione chimica del suolo e della lettiera, biologia delle diverse specie vegetali e altro.
Lo studio ha dunque utilizzato anche i dati delle due reti di rilevamento del Servizio Foreste e fauna della Provincia (nodi di una rete europea), il database InFoCarb (dell' ex Centro di Ecologia Alpina) e il patrimonio informativo dei Piani di assestamento forestale.
Il prossimo anno, sperano le biologhe, si potrebbero trovare i fondi per produrre una nuova pubblicazione scientifica (alcune sono giù uscite su riviste internazionali) e anche una divulgativa, per illustrare i risultati conseguiti finora da Ozone Effort. Intanto, sono già due i corsi tenuti (nel 2008) su questi temi dalle biologhe della Fem, su scala italiana e internazionale.