Trento, la Provincia dice stop ai centri commerciali
Approvate le linee guida della riforma del commercio. Più deroghe per le aperture domenicali
TRENTO. L’obiettivo è dichiarato: «Limitare i centri commerciali, facendo respirare il territorio». Con queste finalità la giunta provinciale ha approvato ieri le linee guida della riforma del commercio che presto vedrà la luce. Due i pilastri che la reggono: una programmazione commerciale più in capo alla Provincia e un sistema che incentiva le deroghe alle aperture domenicali.
Di questa riforma si parla da mesi, ma ora è stata messa nero su bianco in attesa di essere deliberata ufficialmente dalla giunta (sotto forma di disegno di legge) tra qualche settimana dopo il passaggio all’esame del Consiglio delle Autonomie. La prima cosa che salta all’occhio è l’isolamento nel quale sono stati messi i Comuni nel processo di definizione delle nuove aree commerciali. Le competenze in tema di programmazione, stesura dei bandi di gara e scelta dei progetti, infatti, spetterà alla Provincia per i centri commerciali con superfici maggiori di 10 mila metri quadrati e alle Comunità di valle per quelli di dimensioni minori.
Il secondo elemento di grande novità riguarda le procedure: non più scelta dell’area cui segue un progetto, ma il contrario. «In questo modo - ha spiegato l’assessore Alessandro Olivi - dovremmo riuscire a limitare il proliferare di centri commerciali che sulla carta partono con una certa dimensione, ma che poi si allargano a dismisura in seguito a interventi speculativi fin troppo evidenti». Funzionerà così: ogni cinque anni la Provincia programmerà un «plafond» di metrature massime da destinare a nuovi centri commerciali. Per quelli sopra i 10 mila metri quadri, come detto, sarà la Provincia a gestire direttamente le procedure. Per gli altri (la maggior parte) la competenza passa alle Comunità di valle a cui la Provincia destinerà una quota di metri quadrati in base al reale fabbisogno. Le Comunità di valle pubblicheranno un bando per selezionare i singoli progetti di insediamento, con corsie preferenziali per quelli che riqualificheranno il patrimonio esistente, avranno un basso impatto ambientale o prevederanno l’assunzione di personale dalle liste di mobilità. Scelto il progetto, scatta la fase B con l’individuazione dell’area nel singolo comune. Come si vede, dunque, la regia passa dai Comuni ad un ente superiore (le Comunità o la Provincia) con un grado di supervisione maggiore rispetto alle reali esigenze commerciali delle varie zone. E soprattutto l’imperativo è: non derogare rispetto alle cubature assegnate dalla Provincia.
Il secondo pilastro che regge questa legge di riordino è quello delle deroghe alle apertura domenicali. La proposta si sostanzia nella creazione di due categorie di Comuni. Primo: quelli ad alta vocazione turistica, per i quali opererà la più ampia liberalizzazione con possibilità di apertura durante l’intero arco dell’anno. Secondo: i Comuni considerati “ad attrazione commerciale”, come tali classificati sulla base di alcuni indici che andranno determinati con apposito provvedimento della Giunta provinciale. La novità maggiore risiede nella forte autonomia e responsabilizzazione che la Provincia attribuisce con legge ai Comuni i quali, infatti, potranno, con un provvedimento del Consiglio comunale, decidere se avvalersi o meno della nuova qualifica, stabilendo in questo modo l’intensità delle aperture autorizzabili nel corso di un anno entro il “range” fissato in legge. Potranno attingere in pieno o solo in parte al plafond di ore in deroga e potranno «dosare» questa intensità anche in maniera diversificata all’interno del proprio territorio così da valorizzare soprattutto l’attrazione commerciale di certe zone rispetto ad altre: il riferimento chiaro è ai centri storici