Susanne Raweh: la “nonna bambina” racconta la Shoah
Rastrellata dalle SS a 4 anni, fu deportata in Transnistria. «Siamo rimasti ormai in pochi a testimoniare l’Olocausto»
TRENTO. «Sapete della guerra che c’è stata 75 anni fa in Europa e di quello che hanno fatto i nazisti?». A questa domanda gli alunni delle scuole primarie di Madonna Bianca e Martignano, circa un centinaio, hanno risposto di sì. Con questo scambio di battute è iniziato ieri pomeriggio il racconto della “nonna bambina”. La docente universitaria e psicoterapeuta Susanne Raweh, sopravvissuta alla Shoah, ha reso la propria testimonianza al primo dei gruppi di bambini che dalle scuole trentine la verranno ad ascoltare, in tutto saranno 900 alunni. L’ultimo appuntamento sarà giovedì 16, mentre il giorno prima, mercoledì 15, alle 20.45 alla sede della Fondazione Caritro, promotrice dell’evento, si terrà un incontro aperto alla cittadinanza. Un racconto duro, anche se fatto di ricordi di bambina. Rastrellata dalle SS a 4 anni assieme alla famiglia dal villaggio Tchernowitz, viene condotta assieme ad altri Ebrei dell’Europa centrale in Transnistria, in un estenuante viaggio trascorso ammassata agli altri deportati nei vagoni merci. Di lì poi in Ucraina, dove i prigionieri ebrei erano costretti a costruire le strade che servivano alla Wehrmacht per avanzare alla conquista dell’Unione Sovietica.
«Noi viviamo quello che abbiamo, non possiamo immaginarci un’altra esistenza. La mia vita cosciente ha cominciato quando siamo stati presi dai nazisti. I miei ricordi iniziano da quel momento. Nella prigionia quella era la mia vita, non ne esisteva un’altra. Ho capito in seguito ciò che mi era successo», ha raccontato. Fino all’età di 46 anni, però, non è riuscita a descrivere i propri ricordi, un groppo in gola «che non potevo né sputare né ingoiare» glielo ha impedito. Solo dopo la terapia ha potuto raccontare: «Ora mi è più facile parlare di ciò che mi è accaduto perché ho rielaborato la mia esperienza ed ho una missione, quella di tramandarla». Il suo libro, infatti, “La storia della nonna bambina”, nasce per raccontare la sua vicenda ai 5 nipoti. Come fossero tanti nipoti, con la familiarità di una nonna, si è rapportata ai bambini che attenti l’hanno ascoltata e alla fine le hanno manifestato la propria curiosità, domandando di poter vedere il tatuaggio sul braccio con il numero identificativo, chiedendo di camere a gas e divise a righe. Quasi tutti hanno visto “La vita è bella” ed è questa, per loro, l’iconografia dell’Olocausto. A loro Susanne Raweh ha consegnato la propria storia come un passaggio di testimone: «Un domani quando gli ultimi sopravvissuti non ci saranno più potrete dire ai vostri figli e nipoti di aver visto e ascoltato una di loro. La mia storia è una piccola storia in una grande storia. Dopo di noi chi sarà a raccontare e chi ci crederà? Già ora c’è chi nega che tutto ciò sia mai accaduto». Il presidente Ugo Rossi al termine dell’incontro ha voluto manifestare il suo impegno perché nella scuola temi con la Shoah possano trovare sempre più spazio, soprattutto per compiere la missione affidata alle nuove generazioni dai sopravvissuti.
Purtroppo l’antisemitismo è una bestia dura a morire, una malattia dell’animo che in Europa non è ancora stata debellata ma, anzi, non cessa di diffondersi. Da alcuni anni si registra un numero sempre crescente di famiglie ebree europee che decidono di emigrare in Israele perché nel vecchio continente non si sentono più sicure e temono a manifestare liberamente la propria fede. La Giornata della Memoria, dunque, è solo un’inutile data sul calendario? Per Susanne Raweh non basta una sola giornata in un anno. Bisogna ricordare il dramma della Shoah tutti i 365 giorni. Dal punto di vista psicologico esiste il bisogno di un capro espiatorio ed in Europa si è consolidata una tradizione millenaria che per cui si addossano all’Ebreo le colpe di tutti i mali del mondo. «Ora che abbiamo anche uno Stato i sentimenti di odio verso gli Ebrei possono sdoppiarsi in antisemitismo e antisionismo, anche perché sull’origine e la storia di Israele dobbiamo fronteggiare un’ignoranza sconcertante».
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