LA STORIA

Stefano, da Trento a Yale per studiare le stelle

Il giovane astrofisico, dopo la laurea a Bologna, a ottobre si è unito a un progetto della prestigiosa università americana. «Ora lavoro col telescopio della Nasa»


Chiara Bert


TRENTO. Da Trento a Yale a studiare le stelle. Ci si può arrivare un po' per caso un po' per desiderio, come diceva il titolo di un film francese di qualche anno fa. La lampadina si era accesa durante una gita di classe del liceo (il Galilei) a Trieste, al'Osservatorio astronomico. «Chi sa come si stabilisce la temperatura di una stella?». Stefano Marchesi era l'unico a conoscere la risposta. Oggi, a 26 anni, fa l’astrofisico a Yale, uno dei templi delle università americane. Si occupa di nuclei galattici attivi, che - tradotto per noi terreni - sono buchi neri molto pesanti che si trovano al centro delle galassie e producono energia. Gli astrofisici li osservano attraverso telescopi piazzati nello spazio: ne esistono solo due al mondo, uno della Nasa (l’agenzia spaziale americana) e uno dell'Esa (l'agenzia spaziale europea). Il progetto a cui lavora Marchesi studia un buco nero gigante che è scappato dalla galassia.

Ma come ci si arriva, in uno dei più prestigiosi atenei al mondo? L'avventura comincia con la scelta dell'Università: astronomia a Bologna, 40 iscritti all'anno, che dopo il primo semestre già calano drastricamente: le stelle e le galassie sono roba romantica, la fisica e la matematica molto meno. Alla laurea ne arrivano la metà. Stefano non molla, si laurea, continua con un dottorato e vince un posto, ma senza borsa di studio. Poi la proposta di una docente: parte un progetto, ma negli Stati Uniti. Quattro giorni per decidere, la fidanzata (anche lei studentessa di astrofisica) dà la spinta decisiva. Il primo incontro con gli States è un piccolo college a Dartmouth, New Hampshire. Poi, dallo scorso ottobre, il salto a Yale, sempre seguendo i progetti e le collaborazioni della prof di Bologna. «É un grosso progetto - spiega Marchesi - lavoriamo con Chandra, il telescopio della Nasa, il nostro obiettivo è stilare un catalogo dei nuclei galattici attivi che poi sarà a disposizione della comunità scientifica». Chandra è uno splendido giocattolo, gli scienziati se ne contendono i tempi di osservazione, il gruppo in cui lavora Stefano ne ha ottenuto 2,8 milioni di secondi (gli astrofisici il tempo lo misurano così).

Un mondo a parte, quello dei college americani. «È vero che gli scienziati sono mediamente più rilassati, meno attenti al protocollo. Ma è anche vero che è un mondo altamente competitivo, è fondamentale stare in gruppi importanti, che sono legati strettamente alla politica», racconta Stefano. Il taglio delle risorse per la ricerca è tema caldo anche oltreoceano, dove qualche mese fa lo shutdown, il blocco delle attività amministrative che scatta quando il congresso non riesce ad approvare il rifinanziamento, ha fermato anche la Nasa, che è ente federale: niente stipendi, «e per un mese non si poteva nemmeno andare in ufficio, né consultare gli archivi».

«Lavorare a Yale è stimolante, suggestivo. A livello di grandi università si vive un forte senso di appartenenza». Quanto alla qualità dell'organizzazione, è buona, «ma anche a Bologna si sta bene». E i baroni, ci sono anche in America? «È tutto il sistema che funziona diversamente, negli Usa gli studenti girano nei college e i professori selezionano i più bravi. Hanno tutto l'interesse a farlo. Il meccanismo mi sembra funzioni, le persone che ho incontrato mi sono sembrate tutte all'altezza».

A Yale capita di incontrare molti europei, anche italiani, anche qualcuno che ha lavorato alla Fbk e lavora nel settore delle biotecnologie. Cervelli italiani in fuga, ma non è detto che sia per sempre. «A me piacerebbe tornare in Europa - confessa Stefano - questa esperienza americana è bellissima ma penso che sarà a tempo. Il lavoro di ricercatore mi ispira, mi piacerebbe molto lavorare nel settore della divulgazione». Qualche settimana fa, durante la pausa estiva in famiglia a Trento (Stefano è uno dei figli dell'assessore comunale alla mobilità Michelangelo Marchesi, ndr.), è andato a vedere il Muse: «Bello, un esempio virtuoso di comunicazione scientifica». E a quelli a cui studiare le stelle appaia esercizio inutile e molto costoso, il giovane astrofisico risponde senza levate di scudi: «È vero, le ricadute pratiche sono poche. Ma è la scienza più pura in assoluto, è questa la sua bellezza: capire cosa succede nell'universo. Poi mi rendo conto che quando bisogna scegliere e le risorse sono scarse, chi dice “diamo i fondi alla ricerca che ha maggiore impatto sulla nostra vita pratica”, ha le sue ragioni».

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