Soldi ai partiti, condannato Rigotti

Avrebbe pagato 2.400 euro per una pubblicazione di Malossini



TRENTO. Costa caro all'imprenditore Giorgio Rigotti, ex titolare della Rigotti immobiliare spa, il finanziamento da 2.400 euro per una pubblicazione di Mario Malossini. Ieri il giudice Enrico Borelli lo ha condannato a sei mesi di reclusione, poi convertiti in un'ammenda di 6.800 euro, e a una multa di 2.300 euro per illecito finanziamento ai partiti. Secondo l'accusa, sostenuta dal pubblico ministero Pasquale Profiti, Rigotti avrebbe finanziato una rivista sulla Valdastico curata da Malossini. Questo finanziamento non sarebbe stato deciso dal consiglio d'amministrazione della Rigotti, come è invece previsto dalla legge.

Questa è l'ultima eredità dell'inchiesta Giano Bifronte sulla cupola che controllava gli appalti in Trentino. Malossini era stato solo sfiorato dalle indagini della Guardia di Finanza e aveva patteggiato una pena di 3 mesi di reclusione proprio per illecito finanziamento ai partiti, mentre l'accusa di ricettazione era stata derubricata in incauto acquisto. Malossini era indagato nell'ambito dell'inchiesta Giano bifronte, ma la sua posizione era stata stralciata. In un primo momento la Procura aveva ipotizzato il reato di corruzione, oltre all'illecito finanziamento ai partiti. Poi le accuse si sono ridimensionate.

La corruzione è caduta ancora prima della richiesta di rinvio a giudizio. Erano rimaste le accuse di illecito finanziamento ai partiti e di ricettazione. La prima contestazione riguardava tre contributi in denaro. Il primo era un contributo di 2.500 euro da parte della Rigotti immobiliare spa che doveva servire a finanziare una brochure sulla Valdastico, il secondo contributo era di 2.400 euro dati dalla Nexis spa e serviva a pagare la prima edizione del libro di Malossini. Infine all'attuale presidente della Commissione dei 12 veniva contestato un contributo di circa 15 mila euro dati da Fabrizio Collini in persona per finanziare la seconda edizione del libro.

Sono rimaste in piedi le accuse sui primi due episodi, dal momento che i contributi non erano stati deliberati dai consigli d'amministrazione delle società, come richiesto dalla legge. Per quanto riguarda i soldi dati da Collini, l'accusa, sostenuta dai pm Alessia Silvi e Pasquale Profiti aveva sostenuto che potesse configurare il reato di ricettazione, dal momento che i soldi provenivano da fondi neri creati a hoc dall'imprenditore attraverso un sistema di false fatture rilasciate da fornitori compiacenti. Gli avvocati di Malossini hanno dimostrato che il politico non aveva modo di sapere che quei soldi provenissero da fondi neri. Per questo la contestazione è stata derubricata in incauto acquisto.













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