Schwazer, ora è caccia ai complici

Donati (consulente Wada): «Da anni Alex si appoggia a più medici, non può aver fatto tutto da solo» . «Lo hanno lasciato solo con la sua ignominia, così chi lo ha spinto e aiutato a doparsi se la caverà e potrà rifarlo» Interessate due procure a Bolzano e a Padova e anche quella militare



BOLZANO. Dopo quella maledetta iniezione, niente sarà più come prima per Alex Schwazer. Perché ieri, com’era inevitabile, la procura antidoping del Coni ha aperto un procedimento a suo carico, chiedendone la sospensione al Tribunale nazionale antidoping, che l’ha subito disposta. Rischia da due a quattro anni e mezzo di squalifica. E i mancati introiti, tra sponsor, medaglie, club olimpico e stipendio da carabiniere, andrebbero dai 500 mila al milione e mezzo di euro. E il Codacons pensa addirittura di chiedergli un risarcimento. Non sembra reggere comunque la spiegazione fornita da Schwazer: dal doping comprato su internet all’iniezione solitaria. La procura di Padova lo seguiva da mesi e spuntano frequentazioni più che sospette. Alex potrebbe alleggerire la sua posizione – fin dalla conferenza stampa di oggi a Bolzano – aiutando a scovare i complici: il medico che gli ha fornito i medicinali ed eventuali altre coperture. Oltre alla procura di Padova, sta valutando la posizione dell marciatore altoatesino anche quella di Bolzano, competente in caso di reato commesso all’estero. Un fascicolo conoscitivo è stato aperto inoltre dalla procura militare di Roma.

Se non ci sarà una nuova versione non cambierà nulla per chi lo ha spinto a infilarsi quell’ago sotto la cute. È questo il principale rammarico di Sandro Donati, ex allenatore degli sprinter azzurri e dirigente Coni, oggi consulente della Wada (l’agenzia internazionale antidoping) e delle procure che indagano sul doping, che ieri ha assistito per l’ennesima volta alla rappresentazione che più odia: l’atleta positivo che rimane solo, esposto al pubblico ludibrio, alla esecrazione dei suoi tecnici e dei dirigenti della Federazione di atletica leggera e del Coni. «Chi lo ha dopato, invece, la passa liscia anche stavolta». Donati non ci crede. Donati, infatti, non crede che Schwazer abbia fatto tutto da solo. «No, per diversi motivi. Innanzitutto “farsi” di Epo non è così facile, serve un’infiltrazione sottocutanea, c’è il rischio di creare un embolo, serve esperienza. Secondo, non è verosimile che l’abbia comprata su Internet, perché quelli che ci sono nella rete non sono farmaci sicuri, nessun atleta li utilizzerebbe. Ancora, non è credibile che si sia iniettato un’unica dose così potente da fare effetto a settimane di distanza: la tendenza, infatti, è quella di più microdosi, difficili da rintracciare». Ma per Donati il punto è un altro. «Lungi da me scusare Alex, al quale comunque dobbiamo essere grati per non aver cercato scuse – dice l’ex tecnico azzurro – Ma se ci focalizziamo sull’atleta, diventiamo complici del sistema doping. Schwazer è stato dato in pasto all’opinione pubblica e adesso la gente pensa che i controlli funzionino. Lui era spacciato e ha accettato di confessare di aver fatto tutto da solo, il sistema per questo lo ricompenserà. In realtà lui non faceva da solo, è noto che in passato si è appoggiato a medici che hanno avuto problemi con la giustizia,tra i quali quello (Michele Ferrari, ndr) al quale ha fatto cenno oggi un quotidiano sportivo».

I rapporti con Ferrari. Già, ma frequentare un medico “chiacchierato” non significa automaticamente fare uso di sostanze dopanti. «No, il ragionamento va del tutto ribaltato – replica il consulente Wada – Michele Ferrari, i cui rapporti con Schwazer non possono peraltro essere messi in relazione con questo caso, è stato squalificato. Quindi andrebbero squalificati anche gli atleti che lo frequentavano. Il Coni non ha potuto prendere visione delle carte dell’inchiesta di Padova per motivi tecnici, altrimenti Schwazer sarebbe stato fermato e ci saremmo risparmiati questo drammma». «Tutti complici». Invece, come al solito, assistiamo alla lapidazione di un atleta lasciato solo con la sua ignominia, mentre quelli che lo hanno istigato e aiutato proseguiranno indisturbati a farlo con altri atleti, complici i giornali italiani, che pubblicano interviste come quella di Schwazer senza porsi delle domande, e la tendenza ad affidare il commento televisivo di questo genere di eventi a ex atleti che fanno gli imbonitori. In più, al pubblico quello che c’è dietro l’atleta trovato positivo non interessa, la gente vuole vedere lo show. E non si rende conto, così, di essere complice di un sistema le cui vere vittime sono i nostri figli: bambini, ragazzi, giovani atleti ai quali, un giorno o l’altro, per raggiungere i massimi livelli verrà proposta l’assunzione di sostanze dopanti».













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