«Regioni, il governo decida ciò che vuole ma è solo populismo»
Il decreto sui tagli ai costi della politica, Dellai senza freni «Far valere le ragioni di chi non spreca è battaglia persa»
TRENTO. «Vuole sapere davvero che cosa penso? Ecco qui: siccome metà Italia non funziona e il governo è incapace di farla funzionare, emana norme ridicole per chi invece funziona. Ma è solo populismo istituzionale. In Italia tira ormai un’aria tale da far confondere criminali e onesti, chi usa i soldi pubblici per fare festini vestiti da maiali e chi invece per servizi ai cittadini. Ed è un’aria impossibile contrastare. Quindi il governo faccia tutto quello che vuole, dicano loro quale deve essere l’indennità di carica, quanti i fondi ai gruppi consiliari. Possono anche azzerare tutto, se credono. Ce lo dicono, ci adegueremo. E pazienza se nel governo ci sono boiardi di Stato strapagati, che guadagnano dieci volte quanto prende un consigliere provinciale». È un Dellai scatenato, quello di ritorno da Roma dall’ennesima Conferenza delle Regioni, convocata per l’esame preventivo del decreto sui costi della politica nelle Regioni, poi approvato in serata dal Consiglio dei ministri. Scatenato e preoccupato: perché teme il peggio. Che cioè il vento dell’antipolitica, gonfiato dallo sdegno dell’intera nazione, si trasformi in una tempesta generale contro le Regioni. L’ex alleato dell’Api Francesco Rutelli proprio ieri proponeva di abolirne gran parte, procedendo per accorpamenti. E il presidente della Consob Giuseppe Vegas addirittura di eliminarle tutte, perché fonte di instabilità per i mercati.
Presidente, teme davvero che il caso Lazio possa portare tanto lontano?
Sta passando l’idea che solo lo Stato centrale può garantire risposte efficaci: l’imperativo sembra essere quello di togliere potere alle Regioni. C’è chi pensa di riportare in capo allo Stato competenze ora concorrenti, che noi in Trentino esercitiamo da sempre: turismo, energia, infrastrutture. Il vero punto è qui. Ma io dico: guai se il governo avesse intenzione di approfittare di questo clima di attacco alle Regioni, portato avanti dall’intero sistema dell’informazione, per caricare sulle nostre spalle 6 miliardi di oneri in più per evitare a giugno del 2013 di aumentare l’Iva.
Il decreto però è stato richiesto dalle stesse Regioni.
Guardi, non l’ho neppure ancora letto. Non mi interessa. Decida il governo, non ho alcuna obiezione. A condizione che non violino lo Statuto di autonomia, ad esempio sul numero dei consiglieri.
Che la Corte costituzionale aveva già escluso per il Trentino-Alto Adige.
Non è questo il punto: il nostro è un problema di organizzazione dell’ente, non di costi. Il Trentino-Alto Adige è un caso del tutto particolare, l’unico Consiglio regionale composto da quelli provinciali. Ma ripeto: il governo decida, se violerà lo Statuto ci metteremo di traverso.
Lei stesso però ha approvato, assieme a tutti i governatori, la decisione di chiedere un intervento del governo.
Per forza, in questo clima di caccia alle streghe. Sia chiaro: i miei dubbi sul metodo li conservo tutti. Ma quando si è sotto un bombardamento... La rappresentazione mediatica fa sì che il cittadino non sappia più distinguere tra chi fa bene il suo lavoro e chi commette porcherie. Impera la demagogia e combatterla è ormai una battaglia persa, anche da parte di chi avrebbe ragioni da vendere. Come noi, che siamo sempre stati tra le Regioni più virtuose, anche per i costi della politica. È per questo che ora si parla di riforma del Titolo V della Costituzione: è uno spot, sull’onda della demagogia.
Non negherà la necessità di un riordino delle competenze tra Stato e Regioni.
Nego che si debba farla solo perché spinti dalle emozioni. Non c’è dubbio che si debba riprendere in mano la questione, dopo il fallimento della fase federalista degli ultimi anni. Ma non che lo si faccia per spazzare via le Regioni.
Dunque bandiera bianca sui costi della politica.
Sì, bandiera bianca. Di fronte a uno Stato, va detto, non sempre così solerte sui costi della propria politica.
Bandiera bianca in cambio di che cosa?
Lo dico chiaramente: a patto che non introducano per via surrettizia diktat di modifiche dello Statuto. Che lo Stato non pensi di avocare a sé nostre competenze. Ora la battaglia si gioca qui.
Il presidente della Regione Toscana Enrico Rossi, del Pd, ipotizza l’abolizione delle Regioni a Statuto speciale.
Rossi straparla. Il problema è che oggi se uno su questi temi straparla viene applaudito. Rassegniamoci. Anzi, sa che le dico? Lo scrivano, Stella e Rizzo sul Corriere della Sera, quanto deve essere la mia indennità: lo sottoscriverò seduta stante. Sono mesi che il nemico pubblico numero uno sono diventate le Regioni, non lo spread, non la disoccupazione, non la criminalità organizzata. Men che meno lo Stato centralista che non funziona.
Le sue preoccupazioni sulla tenuta dell’impianto regionalista sono condivise dagli altri governatori?
A questo clima è impossibile resistere. Ma se sei una Regione con l’80% della spesa concentrato sulla sanità, e se il governo taglia proprio quel settore, non avverti neppure l’importanza che lo Stato si riappropri della competenza. Ma è solo la punta dell’iceberg. Poi arriveremo al controllo preventivo del governo sulle leggi regionali, all’interesse nazionale applicato trasversalmente su tutte le competenze, a mille vincoli che cui riporteranno indietro di decenni. Ripeto: il governo faccia questo decreto e morta lì. Ma non illudiamoci. Prepariamoci al l’altra parte della manovra, arriveranno la Finanziaria e la modifica del Titolo V della Costituzione, lo svuotamento dei poteri delle Regioni. Contro cui dobbiamo erigere una barriera. Ma quando vedo certe cose penso che sarebbe giusto dare battaglia anche sulle indennità
A che cosa si riferisce?
Quando vedo certi talk-show della Rai, in cui si attaccano gli amministratori delle Regioni, mi chiedo quanto guadagnino alcuni top manager del servizio pubblico. E se questo corrisponde a criteri di efficienza aziendale. Poi tante altre cose, come le indennità di certi membri del governo...
Presidente, faccia i nomi.
No, mi fermo qui.
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