Pacher: basta litigi, Pd unito su Olivi

L’appello del presidente uscente: «Chiudiamo le ferite post-primarie. Servono persone che facciano squadra»


di Chiara Bert


TRENTO. Presidente Pacher, mancano pochi giorni al voto. A un elettore del Pd deluso, che magari sta pensando di non andare a votare, lei cosa si sente di dire?

Non andare a votare è sempre un comportamento regressivo. Alla fine la politica te la trovi lì, e la politica decide anche per chi non vota. So che ci sono elettori affaticati. Secondo me la differenza la fanno le persone. In un momento in cui i partiti sono indeboliti, per fortuna a livello provinciale abbiamo le preferenze e quindi si può scegliere. E nella lista del Pd ci sono tante persone brave e capaci.

In tanti le avranno chiesto un sostegno. Cosa risponde?

Sì, me l’hanno chiesto. E a tutti ho detto che risulterebbe poco comprensibile che io mi spendessi in modo pubblico in campagna elettorale. È giusto che si spenda chi ha cose da dire per il futuro, e per me questo oggi non vale. Diverso è il passaparola tra amici, questo lo faccio come tutti. L’unico evento a cui parteciperò sarà domani (oggi, ndr) con Debora Serracchiani a Rovereto. È una collega, ci siamo incontrati spesso in questi mesi.

La scelta di Olivi capolista, dopo la sconfitta alle primarie, non ha sanato le fratture nel Pd. È così?

Quando non c’erano le preferenze, il capolista prendeva tutti i voti di lista e la sua era una posizione redditizia dal punto di vista elettorale. Oggi è una funzione simbolica, ma importante. Io credo che se il Pd ha scelto Olivi come capolista, in maniera democratica in commissione e poi in assemblea, bisogna che questa scelta sia compresa e sostenuta fino in fondo.

Perché è tanto importante il risultato del capolista?

Se Olivi non dovesse avere un buon risultato, cosa che per altro mi sentirei di escludere, sarebbe una sconfitta per il partito, non per lui. Perché il partito ha deciso, mettendolo lì, che lui è il volto più in vista, e gli ha dato dei contenuti di valenza collettiva. E un buon risultato di Olivi può essere anche un modo per cominciare a chiudere qualcuna delle ferite che ci sono state in questi mesi, dalla sconfitta alle primarie in poi.

Lei ritiene che se ci fosse un’affermazione forte di candidati che hanno talvolta criticato l’azione di governo in questi anni, penso a Zeni e Borgonovo Re, sarebbe un problema per il Pd e per la tenuta della coalizione?

Togliamo di mezzo i nomi. È chiaro che dentro un partito ci stanno posizioni diverse, ma entro certi limiti che dovrebbero essere dati dal partito stesso, un contesto di contenuti e valori. Io penso che la composizione della compagine di governo è importantissima. Vediamo quello che succede a livello nazionale per capire quanto è importante avere un quadro omogeneo di forze di governo. Non può essere che nello stesso governo ci sia chi è per la continuità e chi per la rottura. L’Italia è nelle condizioni in cui è proprio per la frammentazione e l’incapacità di fare sintesi. In Trentino c’è bisogno di altro.

Ma perché il Pd dovrebbe temere apporti più eterodossi rispetto alla linea del partito? Non è sintomo di debolezza?

Serve un equilibrio tra un sistema fortemente accentrato, com’è stato quello con Dellai presidente, e una gestione più collegiale che Rossi sarà chiamato a trovare. E una gestione collegiale ha bisogno di persone che lavorino in questa direzione, non concentrate sulle proprie specificità e sui distinguo.

È un atteggiamento che lei vede ancora presente nel Pd?

Sì, certo.

Il senatore Tonini ha detto che quando non si sa chi verrà eletto vuol dire che la lista è buona, che tutti corrono per vincere. È d’accordo?

Una lista forte non è automaticamente una buona lista. A me pare che complessivamente la lista del Pd sia anche buona. Ma è al dopo elezioni che bisogna guardare, chiedendosi di cosa il Trentino ha bisogno. Io credo che il ruolo del consiglio e delle forze politiche sarà ancora più importante. La coalizione deve diventare soggetto politico, capace di elaborare idee, cosa che fino a oggi non è stato. E per questo servirà la mediazione.

Nel Pd la sensazione è di tante gare individuali. Fisiologico in una campagna elettorale con le preferenze?

Sì, la campagna elettorale è così. Però un po’ qua e un po’ la ho sentito qualcosa che va un po’ oltre il fisiologico.

In che senso?

C’è chi individualizza troppo il proprio messaggio, quasi un chiamarsi fuori da una dimensione di coalizione e di appartenenza. E invece le caratteristiche di chi verrà eletto sono importanti, proprio per la dimensione di collegialità che verrà richiesta nei prossimi anni. Spero che gli elettori se ne rendano conto.

A lei tutti riconoscono una leadership naturale. Ha sbagliato Olivi a “nascondersi” troppo dietro il Pd, visto che alle primarie si sceglie la persona e dunque la personalità di chi si candida a un ruolo di governo deve emergere?

Ognuno ha il suo carattere. Ma la storia recente del Trentino dimostra che ci sono state leadership molto diverse, il mio stile è lontano per esempio da quello di Dellai. Non c’è un modello di riferimento, tu devi essere quello che sei. Sapendo che quando ti proponi come leader, non basta rivendicare la leadership, bisogna esercitarla perchè così la gente ti riconosce. Questo viene con il tempo e l’esperienza. I prossimi anni richiederanno una maggiore collaborazione a livello di giunta e lì potranno venire fuori di più le doti di leadership. Ma Alessandro in questi anni ha dato prova di capacità amministrative in un settore tutt’altro che facile e in una fase di crisi durissima. Il suo è stato un lavoro di sacrificio. So cosa si prova a trovarsi davanti a centinaia di operai angosciati dalla perdita del posto di lavoro. E Olivi ha lavorato con equilibrio.

©RIPRODUZIONE RISERVATA













Scuola & Ricerca

In primo piano