«Ora ci sentiamo migranti non benvenuti»
Viaggio tra i timori e le preoccupazioni dei trentini che vivono, lavorano o studiano in Gran Bretagna
TRENTO. «Adesso mi sento un migrante poco benvenuto, e non sono l’unico» - queste le parole di Nicola Viola, cardiochirurgo pediatrico di 46 anni che si è trasferito a Southampton 10 anni fa insieme alla sua famiglia. È una situazione particolare quella che stanno vivendo gli italiani che studiano o lavorano in Gran Bretagna: anche se l’uscita dall’Unione Europea non è ancora sancita, la vittoria dei “Leave” sui “Remain” sembra aver scombussolato gli animi di almeno una parte di loro. Ieri ne abbiamo rintracciati alcuni provenienti dal Trentino per chiedergli cosa pensano della campagna referendaria, degli esiti cui ha portato e degli effetti che tutto ciò potrebbe avere sulle loro vite. Le risposte sono tra le più disparate, a segnare la confusione che attualmente regna sovrana.
«Io davo per scontato un risultato diverso»: a parlare è Alessandro Casalino, 22 anni, che studia Fisica teorica e che proprio pochi giorni fa ha concluso il suo Erasmus a Londra. Anche Andrea Bonfatti Paini, 21 anni di vita e 6 mesi di Erasmus a Sheffield si aspettava una vittoria dei Remain: «La mia Università ha indetto un referendum interno cui hanno potuto votare anche gli studenti Erasmus», ha raccontato. E anche se lui non ha potuto votare perché è arrivato dopo, ha seguito con interesse la propaganda portata avanti dalla sua Università (per il Remain, che è uscito vittorioso dal referendum interno).
Ad aspettarsi l’esito che tutti conosciamo era invece Nicola, che guarda con preoccupazione ad un’uscita dall’Unione Europea che per lui, a questo punto, è indubbia: «Io e la mia famiglia abbiamo i passaporti italiani e potremmo dover chiedere il visto, il permesso di soggiorno oppure la cittadinanza britannica». Certo, come lui stesso ha sottolineato, «non si tratta di problemi insormontabili, ma non mi piace l’idea di cambiare passaporto solo per motivi di lavoro». Gianmarco Barbiero, invece (che ha appena completato il suo terzo anno di Giurisprudenza a Lancaster), è in pensiero per i compagni: «Ho un amico inglese che sta facendo l’Erasmus in Francia, ed è molto preoccupato perché l’anno prossimo andrà a lavorare a Parigi e non sa cosa aspettarsi».
E se Alessandro ha paura che gli studenti non potranno più fare l’Erasmus in Inghilterra, Andrea è convinto invece che lo scambio con le Università britanniche esisterà ancora, solamente con un altro nome: «Lo scambio universitario è conveniente sia per l’Inghilterra sia per l’Unione Europea», ha detto. Le opinioni sono discordi anche sul tasso di aggressività che ha dominato la campagna referendaria: se Nicola ha vissuto con molta fatica questi mesi incentrati sulla paura dell’immigrazione e su toni patriottici ed anti-europeisti e Alessandro è rimasto sconvolto dall’omicidio della deputata inglese, per Gianmarco «la campagna non è stata aggressiva, ma piuttosto disinformata». E su quest’ultimo punto, purtroppo, convergono quasi tutti: «L’immagine che si è data di chi era per il Leave – ha dichiarato Andrea – non stava né in cielo né in terra. C’erano motivazioni anche più interessanti di quelle concentrate sul futuro dell’Erasmus e dei passaporti; eppure hanno trovato molto poco spazio».