Olivi: «Nel Pd è una guerra tra bande»
L’assessore tira dritto: giovedì la Leopolda. Nessun chiarimento con il gruppo, e medita di lasciare la vicepresidenza
TRENTO. Nessun chiarimento con il gruppo consiliare, né in serata con il coordinamento. Uno sfogo invece con gli operai: «Non posso far finta di niente». Dopo tre giorni di gelo e comunicazioni interrotte tra lui e i consiglieri del Pd, ieri mattina Alessandro Olivi si è presentato in giunta e poi in aula dov’è proseguito per tutto il giorno il dibattito sul disegno di legge antiomofobia. Non una parola con i colleghi, il vicepresidente è rimasto seduto nel suo scranno ai banchi della giunta.
Nella pausa dei lavori il gruppo si è riunito come ogni lunedì (all’ordine del giorno il piano della salute dell’assessora Borgonovo Re), ma Olivi non si è visto. Ha invece incontrato un gruppo di operai di alcune grandi fabbriche, accompagnati da alcuni sindacalisti, che ieri sono arrivati fino in consiglio provinciale, preoccupati dalle voci di dimissioni dell’assessore, in un momento dove la crisi morde ancora e molti di loro hanno perso o rischiano di perdere il posto di lavoro. Gli hanno chiesto di andare avanti, e di occuparsi di loro.
Ufficialmente il vicepresidente si affida ad una nota pubblicata ieri sulla sua pagina Facebook: «Ho scelto il silenzio e responsabilmente lo mantengo». Poi tira dritto e annuncia che l’iniziativa con gli amministratori Pd, giovedì sera alla Cavit - quella all’origine dello scontro frontale con il gruppo che l’ha considerata una «mossa solitaria» - si farà: a quel momento, «molto lontano dallo spirito di Leopolde, Leopoldine e dintorni», Olivi rinvia «qualche modesto ragionamento politico»: «Solo un confronto trasparente sull’attuale fase politica e amministrativa, nessun atto di protagonismo personalistico», «al Pd - rivendica - fino a oggi ho cercato di dare un contributo leale e generoso, nella consapevolezza che nessuno è indispensabile e che il momento di cambiare è arrivato».
Per decriptare cosa l’assessore intenda per cambiamento bisognerà aspettare giovedì. Ma il suo faccia a faccia di ieri con gli operai si è trasformato in uno sfogo a tutti gli effetti, in cui Olivi ha messo sul tavolo tutta la rabbia e l’amarezza per quanto successo negli ultimi giorni. Con quella nota sfornata venerdì dal gruppo consiliare, che bollava la «Leopolda» come iniziativa «solitaria, contraddittoria e controproducente» e richiamava il vicepresidente a lavorare di più dentro il partito. «Non una sfiducia, ma un richiamo alla collegialità», ha frenato il capogruppo Alessio Manica. Ma per Olivi quel comunicato è suonato come una sfiducia messa nero su bianco: «In quella nota ho letto violenza politica», si è sfogato ieri, «a me si chiede di lavorare di più per il Pd? Io che me lo sono preso sulle spalle quando Pacher ha lasciato e Dellai era alla caccia di qualsiasi altro nome?». Sul Pd ha parole dure: «È una guerra tra bande in cui non mi riconosco più». «Non ho intenzione di interrompere irresponsabilmente un percorso», prova a rassicurare i lavoratori, «ma non posso fare finta di niente». Nessuna decisione è presa, ma Olivi non esclude nulla, nemmeno di lasciare la vicepresidenza della Provincia per tenere solo la delega sul lavoro. La voglia è di dare un segnale, anche forte, di reazione a quelle parole che bruciano come sale su una ferita. E alla guerra tra bande del Pd si somma, non nasconde il vicepresidente, la fatica in giunta. Tra i tanti fronti aperti cita un tema caldo per le sue deleghe: il futuro dell’Agenzia del lavoro dove, dice, «faccio fatica a spiegare a Rossi perché non va cancellata». Al presidente del consiglio e decano del gruppo Dorigatti, presente all’incontro, tocca il difficile ruolo di «pontiere». Anche se questa volta ricucire sarà difficile.
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