«Nessuno cacci chi sta sulle panchine»
Bertolli di “Volontarinstrada” a Bottamedi: «Terribile dire che dobbiamo riprenderci ciò che è nostro. Il parco è di tutti»
TRENTO. La piazza è di tutti, anche di quelli che Manuela Bottamedi chiama “fancazzisti di colore”. Lo sostiene, anzi lo rivendica, Claudio Bertolli, presidente dell'associazione Volontarinstrada. Che a chi chiede a gran voce di allontanare gli emarginati dal parco risponde proponendo invece momenti di incontro, magari proprio in quel nuovo bar - il Liber Cafè - che rappresenta il confine tra “noi” e “loro”.
Bertolli, lei piazza Dante la frequenta spesso: cosa risponde a Bottamedi?
A parte l'espressione infelice utilizzata, dispregiativa perché associa il “fancazzismo” al colore della pelle, usata da Bottamedi - che poi nelle intenzioni magari non voleva essere razzista, ma nella pratica non ha fatto certo una gran bella figura tranne riscuotere qualche consenso da parte di elettori di destra – è quel “riprendiamoci quello che è nostro” che è terribile: non esiste il nostro o il vostro, esiste una piazza bellissima dove è stato aperto un bar in una splendida posizione e sarebbe bello che tutti ne potessero usufruire. Che poi siano di colore, bianchi, “fancazzisti” o lavoratori, l'importante è che non succedano cose spiacevoli. Noi siamo realisti: in piazza Dante esiste lo spaccio che, come ha detto il sindaco, è da combattere e da reprimere, ma fare di tutta un'erba un fascio è sbagliato.
Chi sta al bar rischia di sentirsi “accerchiato” da chi staziona nei dintorni?
Storicamente quello è sempre stato il posto dove vanno gli stranieri, le persone escluse (o che si autoescludono) dalla società. Ma è giusto che sia così. E il fatto che un bar collegato alla biblioteca possa fungere da collegamento fra la cosiddetta cittadinanza trentina e persone diverse da quello che vorremmo che fossero porta a conseguenze positive, a rendersi conto di realtà che non conosciamo. Come tutti i parchi, è un posto di socializzazione e aggregazione. E io sono sempre dell'idea che l'incontro fra le diversità è una cosa che arricchisce, non che deve intimorire.
La sua potrebbe essere una sfida interessante: si parla sempre di restituire il parco ai cittadini senza pensare alle persone che ci vivono. Le quali - stando a ciò che lei dice - nel parco dovrebbero rimanerci.
Assolutamente sì: sono contrario e anche atterrito di fronte alle dichiarazioni di certi politici non necessariamente estremisti che dicono: mandiamoli via. Non siamo in un paesino di valle: la natura della città è di essere un luogo di incontro tra tante dimensioni, fra persone che hanno provenienze e stili di vita diversi. Che possono magari non piacere, ma che ci sono, esistono. Dobbiamo accettarlo, con un atteggiamento non giudicante. La solita logica dello scontro e del muro contro muro non porta da nessuna parte, solo a rancori e a divisioni. E comunque sarà sempre così, anche con il sindaco più di estrema destra del mondo. Chi non è conforme agli standard “comuni” alla cittadinanza “normale” ci sarà sempre. Come l'emarginazione.
Il nuovo bar potrebbe avere una funzione di incontro?
È un bar che chiude presto ma magari in futuro si potrà pensare di fare qualche iniziativa con i gestori, se sono interessati: visto che lavorano a contatto con queste persone, che magari non sono clienti perché non hanno i soldi per comprare niente, si potrebbe pensare a qualche apertura prolungata, organizzando degli spettacoli o momenti in cui anche loro siano coinvolte.
Che tipo di persone incontrate nelle vostre uscite serali?
Molte di loro hanno bisogno la sera di mangiare qualcosa, o solo di fare due chiacchiere, di dare un calcio al pallone o tirare un frisbee. Sono belle quelle serate perché le barriere che ci sono, spesso fra le stesse persone della piazza, o tra italiani e africani, si attenuano. Lo stesso avviene con la musica. Lo scopo nostro è di creare una socialità rompendo la solita logica del noi e loro. La piazza è di tutti.
Come si finisce su una panchina?
Negli ultimi mesi chi non riusciva a trovare posto tramite lo sportello unico stava nelle vicinanze della stazione, in qualche androne, per ripararsi dal freddo. In tutto l'inverno abbiamo distribuito una cinquantina di sacchi a pelo e una serie di coperte. Ci sono persone che non hanno un posto dove andare, perché è scaduto il tempo disponibile nei dormitori, dove l'offerta è sempre inferiore alla domanda e che con maggio calerà ancora. Fra di loro c'è chi cerca attivamente occupazione per avere un futuro e chi volente o nolente a questo sogno ha rinunciato, vivendo alla giornata schiavo delle dipendenze, dalle droghe all'alcol. Perché quando ti ritrovi in un Paese che non è il tuo, senza famiglia e senza prospettive di lavoro, che speranze hai? Ma mediamente queste persone non danno fastidio a nessuno: posso capire che il benpensante che vede sulla panchina l'uomo con il cartone di vino in mano possa essere infastidito ma è così: non esiste la città dei sogni in cui tutti hanno la loro bella casa dove andare. Colpa loro? Non credo: penso siano i primi a non volerlo. Ma non si parli di pulizie etniche o sociali. Allontanare chi ha stili di vita diversi o fa cose che non faremmo noi oltre che razzista mi sembra assurdo.