Morì per monossido, fratello a processo
Per la tragedia di Santa Margherita il giudice Dies ha rinviato a giudizio il proprietario dell’appartamento e il caldaista
ALA. Per la morte di Ermina Jakupovic, avvenuta in un appartamento a Santa Margherita di Ala il 6 novembre 2008, a causa delle esalazioni di monossido di carbonio da una stufa a metano, è stato rinviato a giudizio il fratello Zlatan, proprietario dell’appartamento, e l’artigiano che aveva installato e poi spostato la caldaia. Per loro, la procura ipotizza il reato di omicidio colposo. La causa del malfunzionamento fu un nido di uccello, che ostruiva la canna fumaria. Prosciolti invece dal giudice per l’udienza preliminare Riccardo Dies tutti gli altri indagati, che a vario titolo erano stati iscritti nel fascicolo del procuratore capo Rodrigo Merlo. Al dibattimento nell’aula “Mario Amato” (14 maggio) è stata ammessa anche la parte civile, costituita dalla sorella di Ermina e dalle due bambine, che erano incredibilmente sopravvissute all’avvelenamento (avvocato Marisa Perenzoni).
Quel 6 novembre 2008, Ermina Jakupovic si trovava con le nipotine di 4 e 11 anni nella casa del fratello Zlatan, a Santa Margherita di Ala. A causa del malfunzionamento della caldaia, la donna e le due bambine vennero avvelenate da monossido. La donna, di origine bosniaca, era morta subito, mentre le due bambine erano sopravvissute. Nella prima inchiesta, la procura aveva indagato per omicidio il fratello di Ermina - padre delle due piccole scampate alla morte - come proprietario dell’appartamento. Poi, una perizia del consulente dell’accusa, lo aveva scagionato. Tanto che l’uomo era stato prosciolto. A questo punto, l’uomo avvia una causa civile per trovare gli eventuali responsabili della tragedia. Ma il perito del giudice Michele Cuccaro arriva a conclusioni diametralmente opposte a quelle del perito della procura. Vengono indagate sette persone, in totale: l’ex proprietario dell’appartamento, il professionista che nel 1992 aveva installato la caldaia, l’inquilino precedente, il tecnico della Provincia che aveva compiuto le verifiche sull’impianto, il professionista intervenuto a spostare e installare nuovamente l’impianto in un altro punto dell’abitazione, il titolare della ditta che nel corso degli anni aveva provveduto alla manutenzione della caldaia e, infine, il proprietario dell’appartamento, Zlatan Jakupovic. Dopo aver letto la mole di documenti, il giudice Riccardo Dies ieri mattina ha rinviato a giudizio il padre delle bambine e chi aveva spostato la caldaia.
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