Maranelli, una promessa del piano grazie a Youtube
Monica, 22 anni di Arco, è già una concertista in carriera: «La mia generazione è cresciuta con i video. Amo la Argerich, sotto la doccia canto Justin Bieber»
SEGUE DALLA PRIMA PAGINA. Monica Maranelli, 22 anni di Arco, sabato suonerà alla Filarmonica, a Rovereto: un concerto molto atteso, perché lei è la promessa trentina del pianoforte.
È molto emozionante suonare a Rovereto.
Quando ha iniziato con il pianoforte?
Avevo quasi nove anni: un po’ tardi per uno strumento così, la maggior parte dei colleghi è partita sui quattro anni.
Come le è venuto in mente il pianoforte?
In verità io volevo un computer. Avevo bisogno di digitare, di usare le dita: mi sembrava che il computer fosse un modo. I miei mi dissero: e se prendessimo uno strumento? Io dissi l’arpa, loro invece mi presentarono un pianoforte.
E il computer?
Adesso meno ne ho a che fare e meglio sto.
Ma l’idea della pianista per la vita? Quando le è venuta?
Ho iniziato la scuola musicale ma non pensavo di farne il mio futuro. Poi un giorno, intorno ai dodici anni, ho deciso che volevo fare proprio la pianista. Ricordo perfettamente che mandati la mamma a parlare con i prof.
Un giorno? Quale giorno?
Non lo so di preciso. So che cercando di migliorarmi passavo del tempo ad ascoltare e a guardare alcuni pianisti su YouTube e a un certo punto ho detto: sì, è quello che voglio per me.
Galeotto fu YouTube?
Sì, assolutamente. YouTube caratterizza la mia generazione: io sono del 1995 e per me e i miei colleghi il vero strumento di conoscenza, oltre alla scuola, è stato YouTube. I cd avevano un costo, ma poi il video ha un impatto visivo diverso, capisci come un musicista entra dentro la musica con le mani, con il corpo.
C’è lo show...
Di più: è l’esperienza umana, ed è importantissima.
Chi sono stati i pianisti fatali?
Vedere come Eugeny Kissin porge la mano è stato eccezionale e poi, guardi, Martha Argerich è il primo amore di tutti i pianisti. Le mani della Argerich...
Ma le sue amiche e i suoi compagni di scuola? La capivano? O lei si stava facendo un suo trip, un viaggio tutto suo?
A volte in effetti ti sembra di andare per conto tuo. In conservatorio c’era un gruppo di persone con cui ci si capiva perfettamente. Durante gli anni del liceo, invece, è stato un po’ difficile, lo ammetto...
Se ne stava un po’ isolata?
I primi anni direi. Quasi mi rifiutavo di dovermi adeguare ai compagni, ero un po’ asociale, sì. Poi però sono riuscita a inserirmi ed è stato un gran bene.
E la scuola l’ha aiutata o l’ha ostacolata?
Durante il liceo io ero anche all’Accademia pianistica internazionale di Imola, quindi avevo bisogno di una scuola che comprendesse le mie esigenze. E devo dire che Gardascuola è stata eccezionale.
A Imola è stata la svolta?
Lì ho conosciuto i maestri Leonid Margarius e Anna Kravtchenko che mi hanno fatto entrare nel vero ambiente professionale musicale. Mi hanno aiutato a scrutare i mieri orizzonti ma mi hanno anche fatto conoscere i miei limiti.
Ora lei è a Lugano, al Conservatorio della Svizzera Italiana.
Sì, proseguo gli studi.
Ma ormai è una concertista.
Una pianista professionista.
Voleva fare proprio questo, la concertista?
Sì.
Mai avuto dubbi?
Beh, ciascuno ha i suoi pit stop, io ho avuto le mie batoste. Tuttora può capitare se non mi selezionano per un concorso.
La musica è la sua vita?
La musica è la vita.
Nella società manca un po’ di musica e di cultura musicale?
Manca tantissimo. Soprattutto in Italia. Le amiche che ho dall’infanzia non sono musiciste e, in quanto tali, non hanno avuto alcuna cultura musicale. Ora guardo qui in Svizzera: ogni famiglia fa suonare uno strumento ai figli.
C’è anche una distanza con la musica classica. È percepita come poco popolare.
Ma la musica è musica e basta. Tutta la musica. Quando io suono o faccio sentire qualcosa alle mie amiche o ad altre persone che conosco vedo che subito si interessano e talvolta pure si emozionano. Alla fine dei concerti ci sono amici che arrivano e mi dicono: cavoli, sai che non è stato noioso? Ovvio che non è noioso.
E perché c’è questo distacco, negli ultimi anni sempre più largo?
Forse perché si pensa troppo spesso a Mozart o a Beethoven che sono eccelsi ma anche un po’ distanti dalle nostre percezioni. Credo che Stravinskij, Prokofiev o Bartok siano in grado di accendere grande curiosità in tutti...
Non certo perché siano più accessibili...
Ma invece sì. La loro musica è più vicina al rumore della vita.
A Rovereto porta un programma classico.
Sì. Una sonata di Beethoven, la settima, con secondo tempo così drammatico... Poi c’è il primo Scherzo di Chopin, molto virtuoso e di potenza. E quindi il mio pezzo...
Il suo?
Sì, lo adoro. Il “Carnaval” di Schumann: ci sono maschere o persone reali? Ah, ogni volta che lo suoni devi cambiare carattere, è divertente per l’esecutore.
Quindi Monica Maranelli da grande farà la concertista.
Sì. È bellissimo viaggiare, incontrare mondi nuovi: cresci come persona e come musicista.
I concertisti e specialmente i pianisti, uomini o donne, sono spesso ritenuti dei grandi narcisisti...
Sì, ahahahah, il pericolo c’è. Lo capisco benissimo. E cerco di essere sempre umile, perché solo con l’umiltà si cresce. Anche se quando ti devi mettere in evidenza - e questo per me è un periodo cruciale - sei obbligata a mostrarti. Occorre equilibrio.
Oltre che narcisisti hanno spesso delle manie. Lei?
Ahahaha. Guardi, prima del concerto o di un concorso mi devo concentrare e quindi mi dà fastidio parlare con qualcuno: sto entrando dentro l’esibizione e devo starmene da sola. Non sopporto nessuno attorno a me.
Ma solo musica classica?
Assolutamente no. Amo tantissimo il jazz.
Sempre un po’ sofisticati
Ma mi piace tantissimo anche la musica leggera. Ma che pensa? Quando ho bisogno di rilassarmi la ascolto a manetta. E quando faccio la doccia canto le canzoni di Justin Bieber!
Ah, anche lei è figlia del suo tempo.
Ovvio!
Un consiglio a chi studia musica?
Accettare la fatica. Le cose “conquistate” con la fatica ti permettono di raggiungere le cose belle.
p.mantovan@giornaletrentino.it