Lesioni al neonato: risarcimento record
Azienda sanitaria condannata a pagare 2,5 milioni di euro per un caso del 1985. Il bimbo nacque invalido al 100 per 100
ROVERETO. Sono passati quasi 30 anni. Venti da quando quella tristissima vicenda è diventata anche un caso giudiziario.
Nel settembre del 1985 la nascita di un bambino gravemente menomato. Invalido al 100 per cento. Dieci anni dopo la famiglia, convinta che quanto è successo sarebbe stato evitabile, decide di chiedere almeno in sede civile ragione della disgrazia che le è capitata. Nell’unico modo possibile: il risarcimento del danno.
Tre gradi di processo. A Rovereto il giudice di primo grado condanna sia l’azienda sanitaria che il medico che intervenne nella fase finale della gravidanza e durante il parto, Claudio Zucchelli, a pagare in solido tra loro un milione e 600 mila euro di danni. In Appello la condanna è confermata, ma i periti cambiano completamente la lettura dell’accaduto dal punto di vista del medico: per quanto è stato possibile ricostruire dalle cartelle cliniche e dalle testimonianze, pare evidente che Zucchelli aveva fatto tutto ciò che era normale e prescritto fare in un caso come quello. Non c’erano evidenze di una sofferenza fetale, come quella che avrebbe poi provocato le gravissime lesioni al neonato per asfissia. Ma anche in Appello la condanna era stata comunque confermata anche a carico del medico perché, e forse è il passaggio più clamoroso dell’intera vicenda, tutta la documentazione relativa alla fase di travaglio e parto è andata perduta. Tecnicamente sono i «tracciati cardiotocografici».
Potremmo dire, la testimonianza scritta di tutto ciò che gli strumenti hanno rilevato in quella fase decisiva. Acclarato che nulla si poteva rimproverare al medico per la fase precedente il travaglio, solo quella documentazione - hanno detto i periti - avrebbe potuto dimostrare che nemmeno nella fase successiva si erano manifestati sintomi di sofferenza fetale tali da imporre un intervento immediato (un taglio cesareo) per ridurre il rischio di conseguenze per il bambino. Zucchelli aveva chiesto quei tracciati all’Azienda Sanitaria per dimostrare la propria assoluta assenza di responsabilità: in pratica, che quello che è successo è stato una disgrazia e non l’esito di un errore. Ma quei tracciati non si sono trovati: l’Azienda, che li aveva in custodia, ha dovuto ammettere che sono stati perduti, forse per il passaggio di archivi seguito alla riorganizzazione dell’azienda sanitaria stessa, forse perché utilizzati a fini didattici e non riconsegnati. Sta di fatto che non ci sono più. Dal punto di vista legale, spetta al professionista dimostrare di avere agito correttamente e non, al contrario, a chi lamenta il danno dimostrare che non lo ha fatto. Quindi Zucchelli si trovava nella pessima situazione di chi per colpa altrui non può dimostrare le propria innocenza, e per questo finisce condannato. La corte di appello aveva aggiunto anche un ulteriore risarcimento di più di 400 mila euro. Con la rivalutazione, sono diventati quindi 2,5 milioni che l’Azienda Sanitaria ha pagato. In gran parte di tasca propria, perché i massimali assicurativi dell’epoca prevedevano 300 milioni di risarcimento. L’assicurazione Generali ha chiuso la vicenda a suo tempo pagando il doppio: 300 mila euro, ma i 2,2 milioni che mancano ce li ha messi l’azienda.
In parallelo alla causa civile intentata dalla famiglia, procedeva una causa in Corte dei Conti con cui la stessa Azienda sanitaria chiedeva proprio a Claudio Zucchelli di risarcire il danno “provocato”. E’ questa la sentenza appena pubblicata. Zucchelli è stato assolto e non dovrà un euro. I giudici contabili hanno rilevato come agli atti non ci sia una sola prova di suoi errori. Mancano i tracciati che lo avrebbero potuto scagionare definitivamente, ma mancano per colpa dell’Azienda non certo sua. A questo punto il medico potrebbe semmai ritenersi danneggiato da questa negligenza. Di certo non si può utilizzarla per chiedergli un risarcimento.
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