La vittoria di Trump è una questione di soldi
I risultati delle elezioni americane sono stati una grande sorpresa: ma cosa è successo realmente?
TRENTO. Ne ha parlato al Festival dell’Economia il professor Thomas Ferguson dell’Università del Massachusetts, studioso dei finanziamenti elettorali. Ferguson, introdotto dal giornalista Stefano Feltri, ha tracciato un'analisi delle coalizioni politiche e dei blocchi sociali che hanno generato sia la presidenza Trump sia la maggioranza repubblicana del Congresso.
«Il risultato delle elezioni – ha detto Ferguson – non è la somma di tante scelte individuali, ma dei soldi che i due candidati hanno saputo raccogliere, che possono condizionare più di ogni altra variabile. Oggi si continua a parlare dell’influenza di Mosca sul voto americano o della decisione del capo dell’FBI Comey di riaprire, a pochi giorni dal voto, le indagini sulla Clinton, ma in realta già nelle elezioni di metà mandato del 2014 – ha detto Ferguson – dove vi fu una bassissima affluenza, si capiva che gli elettori bianchi maschi disprezzavano i leader dei loro partiti». «Dopo le elezioni presidenziali è successo di tutto, qualcosa che non avevo mai visto prima. Con un presidente che se la prende con tutti e fa crollare le borse con un tweet. La cosa strana – ha detto il professore americano – è che i repubblicani siano riusicti ad avere il presidente e la maggioranza al Senato, cosa che non avveniva da tante elezioni. Ed abbiamo poi scoperto che sono stati investiti molti soldi per le elezioni senatoriali». «Trump, prima di vincere le primarie, non aveva molti finanziatori, ma continuando a fare annunci shock del tipo; togliamoci dall’accordo sul clima o siamo contro la globalizzazione, ha cominciato ad aumentare i flussi di denaro a suo favore, ad esempio dalle case automobilistiche. Trump – ha detto ancora il professor Ferguson – ha infranto il cartello, molto variegato, dei repubblicani, aprendo una specie di sepolcro e così in molti lo hanno votato spontaneamente, beneficiando anche del fatto che vi fosse una candidata democratica elitaria che non si è presa nemmeno la briga di andare negli Stati in bilico. Curisoo è – ha aggiunto Ferguson – che il 17% degli stessi elettori di Trump lo vedeva come un rischio, ma che alla fine ha deciso di votarlo lo stesso. La mia opinione è che ci sia stata una grande ambiguita e che gli americani – ha concluso – abbiano comunque scelto il male minore».