L’esperto di alta finanza che si è dato alla pizza
La storia di Alessandro Spaziani: dopo mille lavori diversi e sette anni a Castel Madruzzo (da padrone di casa) sforna delizie a Piedicastello
TRENTO. Scritto con tutto il rispetto di questo mondo, ma l’aggettivo “pazza” di «Pizza Pazza», il nome del piccolo laboratorio di pizze d’asporto di Piedicastello, quell’aggettivo – si diceva - qualificherebbe meglio il suo titolare, Alessandro Spaziani Montagna, 47 anni, veronese d’origine, figlio di Paola scultrice trentina allieva di Manzù, e di un veronese. Suo zio materno, Carlo, è attore di teatro che vive a Povo. Ma il pezzo da novanta della famiglia è suo nonno materno, l’ingegner Alessandro Montagna direttore generale dell’allora Sit, poi di Edison, quindi di Edison Volta e infine della Montedison. Suo nonno paterno Leonida, giornalista, era pilota di caccia e amico di D’annunzio. Pedigree non da poco. E lui, il nipote? Non è pazzo è un uomo serio, determinato ma soprattutto straordinariamente libero. Nella vita, finora, ha scelto sempre lui quello che doveva o voleva fare. E, a quanto sembra, l’ha fatto e lo fa bene.
Intanto, da studente universitario a Milano, ospite delle zie materne e dei cugini, ha dato avvio alle pratiche complicatissime (ora non più) per poter aggiungere al proprio cognome quello della madre che era morta giovane e di cui era orgoglioso. Ce l’ha fatta (record) in 18 mesi. Cultura solida (liceo classico) studi universitari – Scienze Politiche- non finiti, ottimo francese e inglese (per nulla, invece, il tedesco nonostante sua moglie Monika, altoatesina, sia di madre lingua tedesca), fine affabulatore, per la società che edita «il Sole 24 Ore» è stato per tre anni organizzatore logistico di eventi di formazione per professionisti del fisco, della finanza e dei mercati. Con 22 colleghe si è trovato – sorride - impantanato “felice vittima” dello strapotere femminile di cui ha un ricordo nostalgico. Deve aver mostrato fascino professionale se durante questa esperienza l’hanno cercato e convinto a cambiare registro della sua vita facendo per altri due anni il direttore marketing (su e giù da Milano a Roma e viceversa tutte i venerdì sera e lunedì mattina in aereo) organizzando per il giornale Business International e The Economist incontri tra Governo italiano e industrie straniere e italiane rappresentate dai grandi papaveri dei consigli d’amministrazione. Non ha mai voluto contratti a tempo indeterminato, non voleva legami e legacci. I legacci li ha trovati per la prima volta nel ruolo di consulente al Palacongressi di Riva del Garda andandosene prima possibile senza sbattere la porta (ha troppo stile) ma socchiudendola alle spalle con il chiavistello. Tessere una tela e vedersela disfare con il favore del buio della politica sempre sottotraccia non faceva e non fa per lui. Santa donna, Monika, sua moglie, ma forse anche fortunata a condividere la vita con un uomo sempre felice e soddisfatto ma che «libertà va cercando come sa chi per lei vita rifiuta”», rovesciando cioé sempre il tavolo appena apparecchiato della vita. D’altra parte, se è vero che «natura non facit saltus», nelle sue vene scorre una fantasia professionalmente immaginifica che compone e scompone come un caleidoscopio il suo essere nella società e nel lavoro, spirito libero e creativo tal quale fu per sua madre, scultrice, per suo zio Carlo attore di teatro, zia Erminia pure lei diplomata a Brera. Famiglia molto importante la sua. Alessandro tentenna per ritrosia, ma poi, pur a fatica, lo ammette «perché – fa una smorfia – non vorrei arrogarmi meriti che nella fattispecie davvero non ho”» Ebbene, un paio di decenni fa la famiglia di sua madre ha acquistato Castel Madruzzo, ora di proprietà dello zio Carlo, attore, e dello zio Gianattilio, ingegnere. In quel castello, solo soletto, Alessandro ha vissuto dal 1996 al 2003. Anche in quei silenzi, nel fischiare del vento tra i merli negli sguardi giù lungo la valle deve aver scommesso ancora una volta al tavolo del suo personalissimo poker esistenziale dove il piatto rimane sempre e comunque la libertà. Adesso – ha pensato – mi metto a fare il pizzaiolo: roba buona, laboratorio piccolo, pizza d’asporto, migliori ingredienti, farine scelte e studiate che mescola come un farmacista, impegno continuo. Da qualche tempo ha aperto a Piedicastello. Da quel momento non ha mai chiuso un giorno se non dopo ventiquattro mesi, riservandosi come chiusura, ora, il lunedì, ma soltanto come momento di riorganizzazione della pizzeria. L’ha potuto fare anche per l’aiuto non soltanto di Monika ma anche della comune amica Petra. Clienti fissi, gente che conta (o che non conta un tubo, ma lui non fa differenze) che tornano con una cadenza bi-trisettimanale: quattro chiacchiere in attesa che il forno esibisca la pizza cotta a puntino e via con l’arrivederci alla prossima volta. Pizze sempre nuove, fantasie creative. Tutto bene. Il vento soffia bene e gonfia il suo gonfalone di libertà. Ma per quanto? Chissà. «Ne parlavo proprio l’altra sera con mia moglie. Che bello, le ho detto, chiudere qui e andare a fare l’allevatore in Nuova Zelanda».
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