il caso 

Itas, dipendenti furiosi per il furto di dati

L’accusa all’azienda: «Informazioni riservate sono finite in rete e nessuno ci ha detto nulla». Oggi vertice con i sindacati


Andrea Selva


TRENTO. «Chissà da quanto tempo l’azienda sapeva che i nostri dati personali erano finiti in rete, eppure nessuno ci ha mai detto niente: l’abbiamo saputo ieri mattina leggendo il Trentino. E’ un fatto gravissimo». I dipendenti Itas sono allibiti per il furto di dati che li ha visti coinvolti in prima persona e che il nostro giornale ha raccontato sull’edizione in edicola ieri. Peggio: furiosi. Addirittura disarmati di fronte al silenzio dei vertici aziendali che - nemmeno quando la notizia è divenuta di pubblico dominio - hanno ritenuto di intervenire con una comunicazione ufficiale per chiarire la vicenda, almeno all’interno

Leggi la notizia dell'attacco firmato da Wikileaks

Questa mattina è prevista una riunione dei rappresentanti sindacali aziendali che prenderanno una posizione netta, chiedendo all’azienda ogni possibile azione per tutelare la privacy dei dipendenti. Non è esclusa la possibilità di un ricorso al garante per la protezione dei dati personali, strada che potrebbe essere percorsa anche da ogni singolo dipendente. Come sono possibili - in linea teorica - anche azioni legali dei dipendenti contro Itas oppure contro Hacking Team, cioè l’azienda di sicurezza informatica che aveva conservato (indebitamente) i dati di Itas sui propri server anche dopo la conclusione di una consulenza informatica in materia di sicurezza. Certo l’ipotesi di azioni legali si scontra con ragioni di opportunità: la citazione a giudizio del proprio datore di lavoro non è mai un percorso semplice. «E - come spiega un dipendente che conosce molto bene il problema - siamo tutti vittime della stessa situazione».

Nel corso delle ultime ore la fuga di notizie riservate si è delineata in tutta la sua gravità: «Sul server allestito dagli hacker sono stati copiati gli archivi informatici di Itas relativi alla gestione del personale» spiega un dipendente che ieri - come molti altri - ha avuto la possibilità di verificare di persona la presenza dei propri dati in rete. La situazione è aggiornata solo al 2006, ma i dati sono comunque particolarmente riservati: ci sono gli stipendi, ma anche informazioni relative alla situazione sanitaria dei dipendenti Itas (e dei loro familiari) che hanno goduto di permessi speciali per motivi di salute oppure per l’assistenza ad altri familiari malati, disabili o comunque in stato di necessità. Questa almeno è la ricostruzione di una fonte di Itas, mentre all’interno dell’azienda la prima preoccupazione è stata quella di chiarire la gestione dei rapporti con la società Hacking Team che avrebbe trattenuto i dati di Itas sui propri server violando il patto di riservatezza finché - nel 2015 - si è verificato l’attacco hacker sostenuto da wikileaks. L’obiettivo era in realtà la società milanese, sospettata di aver fornito software spia a governi pronti ad utilizzarli in violazione dei diritti umani.

Per i dipendenti di Itas è un boccone amaro da digerire mentre per l’azienda si tratta di una vicenda assolutamente destabilizzante. Immaginate un lavoratore che per ragioni di privacy sceglie di non comparire sull’elenco telefonico e poi si ritrova su internet con l’indirizzo, la data di nascita, lo stipendio, il numero di conto corrente bancario. Ma questo è solo il punto di partenza. Sul sito allestito dagli hacker ci sono lettere di assunzione e di dimissioni e - in un lungo elenco di documenti - ci sono le somme assegnate da Itas come incentivo ai funzionari per lasciare l’azienda prima della pensione. E poi il trattamento economico (e documenti privati) di top manager che ora siedono in consiglio di amministrazione. Senza contare le gelosie e le invidie che possono derivare dalla lettura delle retribuzioni e dei bonus interni.

Possibile che all’interno di Itas fino a ieri - quando la notizia è finita sul Trentino - nessuno si sia accorto di nulla? Che cosa si può fare ora? Ecco le domande che oggi i rappresentanti sindacali rivolgeranno ai vertici aziendali.













Scuola & Ricerca

In primo piano

Podcast

Il Trentino nella Grande Guerra: gli sfollati trentini spediti in Alta Austria

Venezia e Ancona vengono bombardate dal cielo e dal mare. A Trento viene dato l’ordine di abbandonare il raggio della Regia fortezza, con i treni: tutti gli abitanti di S. Maria Maggiore devono partire. Lo stesso vale per Piedicastello e Vela, così come per la parrocchia Duomo. Ciascuno può portare con sé cibo e vetiti per 18 kg. Tutto il resto viene lasciato indietro: case, bestiame, attrezzi, tutto. Gli sfollati vengono mandati in Alta Austria. Rimarranno nelle baracche per 4 lunghi anni.