Invalidi, la «corsa» alle indennità
Ogni anno esaminate 9 mila domande: ma ne viene accolto solo un terzo
TRENTO. I dati parlano chiaro: il Trentino-Alto Adige, secondo il Rapporto sulla coesione sociale 2011 pubblicato nei giorni scorsi dall'Istat, è assieme a Piemonte e Lombardia fra le tre regioni italiane più "virtuose" per quanto riguarda le pensioni d'invalidità. Dove insomma ne vengono erogate in numero minore. Al netto del gergo statistico, che parla di "coefficiente di pensionamento standardizzato" (e il nostro indice è pari a 48,4 su base 100), la realtà fotografata dall'Istat è quella che un po' tutti immaginiamo: Italia divisa in due poli (Nord/Sud) con regioni come Calabria, Sardegna e Campania con cifre quasi del 50% superiori alla media nazionale (indice 66). Ma attenzione: subito dietro, un po' a sorpresa, c'è l'Umbria. Il che sembra in parte contraddire la percezione comune, tra l'altro spesso agitata polemicamente quando si parla di pensioni nel confronto tra forze politiche, di un iperassistenzialismo concentrato solo al Sud, dipinto come presunta patria di migliaia di "falsi invalidi".
È infatti proprio l'Umbria, secondo gli ultimi dati del Rapporto Nna (Network non autosufficienza), la regione in cui si riscontra il tasso più alto (17%) di riconoscimenti dell'indennità di accompagnamento rispetto alla popolazione anziana, seguita da Campania, Calabria, Sardegna e così via. E anche in questo caso il fanalino di coda risulta essere il Trentino-Alto Adige, con un tasso dell'8%.
Ma come vanno letti questi dati? Si può davvero essere certi che quel nostro tasso record a livello nazionale, l'8%, sia indice di buone pratiche di welfare? Detta ancora più chiaramente: il rigore, l'attenzione sempre più puntuale a evitare sprechi e sperpero di denaro pubblico, soprattutto ora nei giorni dello "spread" e dei conti sempre in regola, quanto cozza contro la crescente richiesta, spesso drammatica, di aiuto da parte di anziani e non autosufficienti? Sono cicliche le campagne di stampa contro i falsi invalidi. Non che la cronaca non offra materiale: alzi la mano chi non ha mai letto di presunti ciechi, con regolare indennità, scoperti a guidare automobili. E infatti negli ultimi anni l'Inps, oltre ad avere intensificato i controlli, ha sostanzialmente modificato i criteri per il riconoscimento delle percentuali di invalidità e di accompagnamento. Arrivando, secondo il suo presidente Antonio Mastrapasqua, a respingere la metà delle nuove domande e a revocare quasi un quarto dei trattamenti sottoposti a verifica. Dati, come vedremo, sui quali le polemiche non sono mancate. E che comunque non riguardano il Trentino.
La procedura. A livello nazionale, a decidere circa le richieste delle indennità di accompagnamento sono Commissioni sanitarie miste, ma di fatto controllate da rappresentanti dell'Inps. Dove il rischio di una medicina legale "difensiva", più attenta insomma alla cassa che al welfare, è alto. A scapito delle ragioni di chi vanta legittimi diritti. Non così invece in Trentino, dove tutto passa esclusivamente per l'Unità operativa di Medicina legale dell'Azienda sanitaria. Merito di una legge provinciale, la numero 7 del 1998, che ha assegnato alla figura del cosiddetto "medico monocratico" gli accertamenti sanitari del caso. Tra l'altro, abolendo i gettoni di presenza per il personale sanitario che all'epoca costavano alle casse pubbliche circa 400 milioni di lire l'anno.
Chi ha diritto alle indennità? Lo prescrive un'altra legge provinciale, la 508/1988: ciechi assoluti, disabili per ragioni fisiche o psichiche non in grado di deambulare se non accompagnati (codice 05) e disabili impossibilitati a compiere "gli atti quotidiani della vita" (codice 06). Escludendo i non vedenti, gli ultimi dati (fine 2008) ottenuti incrociando le cifre dell'Azienda sanitaria e quelle dell'Agenzia provinciale per l'assistenza e la previdenza integrativa, fissano in 11.411 il numero di trentini che usufruiscono di un'indennità di accompagnamento. Così divisi: 7.783 codice 06, i restanti 3.628 codice 05. Nel 70% dei casi si tratta insomma di disabili psichici, più gravi dunque di coloro "solo" non in grado di deambulare. E ovviamente il grosso si concentra nelle fasce d'età oltre i 70 anni. Chi ha un familiare affetto da morbo d'Alzheimer sa bene di che cosa si sta parlando. Vale la pena segnalare che il Trentino Alto Adige, guarda caso proprio dietro all'Umbria, è la regione italiana in cui maggiore è l'incidenza della popolazione ultrasessantacinquenne: la percentuale degli ultimi anni si aggira attorno al 19%, a fronte di una media nazionale del 16. Vista la continua crescita dell'aspettativa di vita, si tratta di una cifra destinata ad aumentare.
Gli accertamenti. Sono circa 18 mila all'anno le prestazioni dell'Unità operativa: cioè le richieste (a cui seguono i necessari accertamenti medico-legali) di riconoscimento di invalidità civile, cecità, sordomutismo, handicap e non autosufficienza, ma anche disabilità ai fini del collocamento mirato al lavoro (le cosiddette "quote protette"), attestazioni di idoneità per il rilascio delle patenti di guida e, sempre in materia di lavoro, la verifica dei requisiti psico-fisici per eventuali dispense. A svolgere le visite sono i medici dell'Azienda sanitaria, in tutto cinque compreso il primario Fabio Cembrani. I conti sono presto fatti: ognuno di loro ne effettua oltre 3 mila all'anno. Che a spanne significa 10-15 al giorno.
E questo dato, da solo, permette di capire le ragioni delle lamentele che a volte vengono registrate all'Unità operativa di medicina legale: con visite che, per forza di cose, devono esaurirsi in massimo mezz'ora, e con soggetti che vivono comunque disagi più o meno gravi, il medico può anche sentirsi accusato di atteggiamenti "disumani". Sono invece 12 mila le richieste relative a riconoscimenti monetari o meno legati alla disabilità. Per situazioni di handicap, ad esempio, possono essere richiesti congedi parentali dal lavoro per poter seguire propri congiunti: e si tratta di circa 3 mila casi. Gli altri 9 mila riguardano invece l'invalidità civile, comprendendo però anche accertamenti per esenzioni dal ticket o agevolazioni per protesi: solo un terzo del totale (quindi ancora 3 mila) frutta l'indennità di accompagnamento. Il contenzioso. Per le domande respinte, non tutto è comunque perduto: la decisione può infatti essere impugnata dal richiedente, e avviene in circa 800 casi all'anno.
L'iter prevede quindi un secondo passaggio medico, una sorta di "visita d'appello" davanti a una commissione di secondo grado composta da tre medici, che a volte (ma si tratta di circa il 15% di questi casi) dà un esito diverso rispetto al primo accertamento. Ed è ovvio: a volte, tra primo e secondo "grado", rischiano di passare anche due-tre mesi, lasso di tempo in cui le condizioni del soggetto possono effettivamente peggiorare. Se ancora la decisione non dà ragione al richiedente, è possibile anche aprire un contenzioso amministrativo di fronte al giudice del lavoro. Ma avviene davvero raramente, uno o due casi all'anno. Il che sembra confermare l'efficacia, in termini di "giustizia" dell'attivazione di servizi di welfare, della procedura in capo all'Azienda sanitaria. Così non avviene invece a livello nazionale. Il contenzioso amministrativo nei confronti dell'Inps è infatti altissimo. Ma soprattutto, il più delle volte l'esito finale dà ragione ai cittadini. I dati di Cittadinanzattiva (meglio noto come Tribunale del malato) relativi proprio all'invalidità civile parlano di una "soccombenza" pari al 57,7%: «Nella maggioranza dei casi - ha spiegato il coordinatore nazionale Tonino Aceti poche settimane fa in Senato - il ricorso presentato dal cittadino avverso i verbali emessi dall'Inps è accolto favorevolmente dalla magistratura, a dimostrazione che sussiste più di qualche problema nelle modalità di valutazione del grado d'invalidità». Non solo: cifre della Corte dei Conti alla mano, il Tribunale del malato contesta anche il presidente dell'Inps, parlando di appena un decimo (e non un quarto, come sostiene Mastrapasqua) di pensioni d'invalidità revocate sul campione controllato.