Il mercato dei nomi di Palazzo Thun ci costa 30 mila euro
Ma il prezzo più alto - accusa Porta - lo paga la maggioranza L’accordo all’alba: dopo Mattei salta lo Statuto dei lavoratori
TRENTO. Alla fine lo Statuto dei lavoratori e Solgenitsin sono stati sacrificati sull'altare della “pax consiliare”. Alle 2 e mezza del mattino maggioranza e opposizione hanno trovato l'accordo sui nomi da dare a vie e piazze del nuovo quartiere ex Michelin. Viale Adriano Olivetti ha scalzato il “comunista” viale Statuto dei lavoratori, l'asettico corso del Lavoro e della scienza ha preso il posto di corso Olivetti, via Adalberto Libera, prima cassato, è miracolosamente riuscito dal cappello cancellando via Ettore Sottsass, piazza delle Donne lavoratrici ha liquidato la troppo “sinistrorsa” piazza delle Donne operaie. Sono usciti invece indenni dalla bufera di Palazzo Thun viale della Costituzione, parco Fratelli Michelin, passaggio Ezio Clementel e passaggio Giuseppe Sebesta. La delibera è passata con 37 sì, 1 solo no (quello di Francesco Porta di Rifondazione) e 4 astenuti.
Le minoranze si sono riportate a casa i loro 320 emendamenti, i partiti di governo sono usciti dal tunnel che aveva paralizzato i lavori dell'aula dalla ripresa dell'attività dopo la pausa estiva. Ma a quale prezzo, viene da chiedersi? Quello economico, come scrivevamo ieri, è stato di 30 mila euro in gettoni di presenza, tra 12 sedute della commissione toponomastica, 2 del consiglio e una riunione dei capigruppo interamente assorbite dal “caso” toponomastica. Non proprio bruscolini, visto il periodo che stiamo attraversando.
Ma il costo politico è forse il più salato. Nel mercato delle vacche di Palazzo Thun i nomi di personaggi insigni e di istituti democratici sono stati scambiati, rigettati, riproposti e poi depurati da presunte valenze ideologiche con una leggerezza che ha dato un pessimo spettacolo all'opinione pubblica e fatto venire molti mal di pancia anche all'interno della sinistra. Un tritacarne indegno di un luogo simbolo delle istituzioni come il consiglio comunale, dove la politica ha abdicato alla sua rappresentazione pur di far guadagnare ai suoi attori i riflettori mediatici.
La “sudata” intesa raggiunta all'alba da consiglieri esausti dalle ore passate a parlare (anche a vuoto, naturalmente, per puri scopi ostruzionistici) ha infatti un valore relativo, visto che la decisione ultima sulla materia spetta alla commissione toponomastica provinciale, che è sovraordinata e può decidere di stravolgere tutto. E pazienza se ci è voluto un anno di lavoro per arrivare al “parto” di ieri, che peraltro ha dato alla luce una creatura che nasce già in crisi di identità.
«Alla luce di quanto è successo, sono convinta del fatto che il Comune non dovrebbe avere la competenza in materia di toponomastica», dice Lucia Coppola, che ricorda come a Trento solo 17 tra vie e piazza siano intitolate a donne e 86 a uomini. Meglio sarebbe un giudizio terzo, hanno convenuto in molti, affidato a uomini di cultura e non a rappresentanti politici, proprio per evitare che la toponomastica diventi merce di scambio.
Il più duro è Francesco Porta: «Ciò che è stato deciso di barattare da parte della maggioranza denota la sua debolezza interna, la sua pesante indifferenza rispetto alla centralità del lavoro e dei diritti dei lavoratori». Il consigliere di opposizione si chiede se «le commissioni abbiano ancora una funzione». E accusa: la delibera è stata «distorta da un pesantissimo ed indecente compromesso culturale ed ideale».
Dopo il sacrificio di Mattei, ormai nel dimenticatoio, quello dello Statuto dei lavoratori. Curioso che dopo mesi di aspri scontri dialettici e sulle pagine dei giornali a difenderli sia rimasto solo il comunista Porta.
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